CoCo, il rapper buonista del Vomero che parla con i fiori

CoCo 2929
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di Federico Vacalebre
Lunedì 9 Novembre 2020, 11:50 - Ultimo agg. 12:47
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Nella mappa dell'hip hop newpolitano che nessuno ha ancora azzardato con il nome di CoCo andrebbero marchiati Fuorigrotta (via Consalvo) dov'è nato, il Vomero dov'è cresciuto (piazza Quattro Giornate) e tornato adesso (via Rossini) dopo quasi dieci anni passati a Londra, gestendo con Luche', prima suo amico e mentore, ora anche discografico con la Bfm Music, la pizzeria Bravi Ragazzi. Nessuno si sorprenda, allora, che quello che lui stenta a considerare il suo secondo album («l'ho inciso al volo, io sono meticoloso, ma non è nemmeno un ep, boh!») si intitoli «Floridiana», in uscita oggi a sottolineare come, nel mucchio selvaggio dei trapper partenopei lui sia quello più sbilanciato sul fronte sentimentale, quello più lontano dalle tematiche stradaiole (ma un «bithc» scappa pure a lui). D'altronde, la sua biografia non parla di periferie degradate, né di tentazione gomorriste. Sin dalla copertina che lo vede immerso tra i fiori non è proprio un immaginario gangsta quello in cui sguazza, dopo l'esordio con «Acquario», Corrado Migliaro, 32 anni, tanto autotune e tante chitarre, suoni urban, producer (Fedele, Geeno, D-Ross e Startuffo, Dat Boi Dee) ed autori (Davide Petrella, Fabio Caterino) doc al suo servizio.
 

Perché «Floridiana»? Rapper e trapper di solito sguazzano tra periferie e metropoli.
«Io tra i fiori, che sono simbolo di purezza come la musica. La villa vomerese era il mio riparo da ragazzino, il mio rifugio, il mio mondo incantato».
Alla fine di tutto, invece, c'è «Sperlonga vecchia».
«Anche quello è un ricordo, di un luogo di villeggiatura in famiglia, quando c'era ancora mia madre. L'estate scorsa ci sono tornato con tre amici e mi è scoppiato questo brano su chi sono, cosa sono diventato, dove stanno tutti gli altri che fanno la mia musica».
«Sti' rapper fanno i cattivi mentre stanno su Tik Tok» sintetizzi, prendendo le distanze da molti colleghi. In una Napoli che sembra «Las Vegas» e batte beat veloci, racconti relazioni mai partite («Sbagliare») o altalenanti («Deja-vù»). Tuo figlio rimasto a Londra che vedi poco («Compleanno»). Il mondo rap è diventato buonista, come confermano anche gli ultimi dischi di Nicola Siciliano, Lele Blade, Samurai Jay?
«Io sono sempre stato più introspettivo, ma qualcosa è successo alla scena. Rap e trap hanno preso il posto del pop e guardano alla narrazione sentimentale per parlare al pubblico più vasto possibile».
Poi c'è «Troppi soldi» con Geolier. E qui Napoli sembra Miami, stavolta.
«Abbiamo dentro il sogno americano. È una riflessione sul successo, l'hype... troppi soldi troppi guai».
E «Che ore sono» che addirittura riscopre la Claudia Mori di «Non succederà mai».
«Quello è un contributo di Giaime, non gli ho chiesto come conoscesse quel pezzo, lui è anche più giovane di me».
In «Eredità» c'è Luche': «Guarda chi sei adesso, pensa qualche anno fa».
«Tutto è iniziato con lui: Londra e la pizzeria, ma anche la musica.

Ascoltavo Eminem, 50 Cent, la Famiglia, non pensavo di poter rappare. Poi ho ascoltato i Co'Sang, conosciuto Luca, mi ero appena licenziato come magazziniere... Eccomi». 

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