Zucchero: «Rock e bandiere rosse non fan più rivoluzioni»

Zucchero e Sting 2020
Zucchero e Sting 2020
di Federico Vacalebre
Mercoledì 16 Dicembre 2020, 08:58 - Ultimo agg. 14:09
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Senza la pandemia, l'altroieri avrebbe chiuso a Reykjavik il suo tour mondiale da 150 concerti. Con la pandemia ha cancellato tutto, «ma ho avuto più tempo per amici e collaborazioni». Che, detto da lui, Adelmo «Sugar» Fornaciari, vuol dire gente come Sting, con cui duetta nella nuova «September», Bono («Let your love be know»), Lady Gaga (il megaconcerto virtuale a favore dell'Oms), Bocelli (lo show natalizio da Parma)... Orfano dell'adrenalina garantitagli dal fronte del palco, si è anche chiuso in studio per tirar fuori «Doc deluxe edition», ovvero il disco dell'anno scorso con l'aggiunta di sei brani nuovi: «Oggi basterebbero a fare un album, ma così posso già pensare al prossimo», spiega lui, sotto il capello a falde immense.
 

Video

Tre cover e tre inediti. Iniziamo da questi. «Succede» tra allusioni degne della solita sana e consapevole libidine («e potevo farti la luna») parla di bandiere rosse nel comò.
«Ci sono le mie solite battute da contadino, ma quelle bandiere rosse risposte sono piuttosto la consapevolezza che non mi ritrovo più tanto nell'ideologia di sempre. Ha smesso di essere propulsiva, di far sognare rivoluzioni».
Il comunismo come il rock?
«Sì, si è fatto sostituire dal rap, parlo di quello degli esordi, poi anche su quel fronte si è annacquato molto il tiro. Il rock di oggi non accende più i corpi, è troppo ripulito».
Tra scoppiettanti brani black arriva la ballata con Sting.
«Mi ha chiamato, sono andato. Solo che lui ha voluto girare il video di September alle 6.30 di mattina, dopo essersi fatto una nuotata nell'acqua gelata di una piscina all'aperto. Io dormivo in piedi, rincoglionito, lui era perfetto: mi ha spiegato che si sveglia all'alba da quando, ragazzino, prima della scuola accompagnava il padre a consegnare il latte».
Le cover.
«Sono una cosa da fare con rispetto, a cui aggiungere qualcosa, ammesso si possa. Non rifarei mai Imagine, è intoccabile, ma Hurt ripresa da Johnny Cash è uno splendore, With a little help from my friends di Joe Cocker rendeva epica la marcetta, sia detto con rispetto, dei Beatles».
«Non illudermi così» dice del tuo disamore per i social: «Sembra che la vita/ che ci stan cantando/ uno su tre sono bugie/ falsi come Facebook/ tutti quei bacini ai colli».
«Con Mimmo Cavallo ho messo un testo in italiano su una splendida canzone di Tim Hardin del 1966. I social? Stanno a me come la cravatta al maiale».
«Wichita lineman» non l'hai tradotta.
«Ci aveva provato Mogol per i Nomadi, ma non era riuscito a rendere la poetica, la distanza dal suo amore che un telefonista riesce a superare alla sua maniera. Ho sempre amato il pezzo di Jimmy Webb, in tutte le versioni: Glen Campbell, Ray Charles, James Taylor... Questa finalmente è la mia».
«Don't cry Angelina» è una storia d'amore al tempo della Resistenza.
«Il primo abbozzo risale a Oro, incenso e birra, correva l'anno 1989: l'ho ritrovato in un nastrino cantato in inglese maccheronico. L'ho ripreso, riarrangiato e ho scritto il testo in italiano. Un romanzo di Ezio Meroni, Angela, Una storia d'amore nella guerra partigiana, mi aveva suggerito la storia di una giovane partigiana innamorata di un partigiano dal quale è stata costretta a separarsi».
«Doc deluxe edition» è uscito come doppio cd, in digitale, come triplo vinile colorato e/o autografato.
«Tanto io non devo fare niente, ma quante se ne inventano per vendere un disco in più».
Tu, invece, stavolta sembri poco interessato ad «attualizzare» il tuo suono.
«Ma io sono il mio suono, mica posso rincorrere la radiofonicità e i tormentini del momento».
Sulla carta ti aspettano 14 date all'Arena di Verona, tra il 23 aprile e l'8 maggio 2021, e un tour mondiale.
«Speriamo che si possa fare, anche in mascherina, anche con i posti ridotti, rispettando tutte i protocolli possibili e immaginabili. Io voglio suonare, per me, per il pubblico, per tutti i lavoratori dietro di me, dietro tutti noi, che i politici dimenticano. Ma, tanto, per loro un ritrovamento a Pompei è cultura, quello che facciamo noi no, non è nemmeno cultura bassa o popolare: lo chiamano divertimento. E non è bello, nè giusto».
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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