Vale Lambo: «Il mio rap è crudo e romantico»

Vale Lambo
Vale Lambo
di Federico Vacalebre
Sabato 26 Settembre 2020, 12:43 - Ultimo agg. 13:48
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Si spara e si muore nell'incipit di «'Nfaccia». Si spara e si muore nella successiva «Pe' sempe». Valerio Apice, per molti semplicemente Vale Lambo, conferma il suo flow insieme di strada e melanconico, «crudo e romantico», sintetizza lui, convinto che «non si può essere cinici sempre». Nel suo quartiere, Secondigliano, le leggi non le detta lo stato, lui le conosce e sa che «pe' sempe» sono i ricordi, qualche volta le canzoni. Il suo racconto feroce è temperato, e reso originale, dalla voce di dentro che gli scappa, dalla capacità di guardare il film della propria e altrui vita senza restare prigioniero della mitologia rap-gomorrista. Uno sguardo a una ragazza diventa uno sgarro, può essere una condanna a morte. La cronaca nera degli amici come «Houdini», la cronaca rosa degli amori consumati senza sapere quanto dureranno. «Come il mare», l'album in uscita venerdì, conferma il talento del rapper ventinovenne, fattosi notare prima nel collettivo 365 MUV e poi nel duo Scimmie, ed ormai solista. Al secondo album per la Virgin («Angelo» era del 2018), Vale prova ad approfittare del momento d'oro del contingente hip hop newpolitano. «La città è tra i tre poli che contano in Italia, abbiamo voce in capitolo come mai», ammette Enzo Chiummariello, che si occupa dei suoi affari, nel minidocumentario che porta lo stesso titolo del disco, «Come il mare», in anteprima esclusiva su Timvision. E la presenza di Luche', Coco, Geolier, Franco Ricciardi e naturalmente Lele Blade dà man forte alla sua decisione di allungare il passo, come le recenti collaborazioni con Gigi D'Alessio («Buongorno», «San Valentino») e Sal Da Vinci («So pazz' e te»). «Le nostre canzoni sono vicine di casa, di strada, di vicolo, di origini: Mario Merola e Mauro Nardi mi appartengono almeno quanto Tupac Shakur e Nas», spiega lui, che per uscire dal ghetto ha chiesto un «feat» anche a Carl Brave, Madman, Dani Faiv, Nayt e il giamaicano Fire alternando il dialetto all'italiano: «Oggi la nostra lingua è di moda, quasi lingua ufficiale della cultura urban, ma a me dispiace quando mi ascoltano senza capire».

Nei venti minuti del docufilm l'artista si mostra per quello che è, racconta da dove viene: i genitori, la fidanzata Fabiana, Marianella, il Terzo Mondo (dove vive lui), il rione Berlingieri, le Case azzurre... E gli amici, che sono diventati la sua squadra: i giovani producer Yung Snapp e Niko Beatz, ma anche il barbiere, il tatuatore, chi lo segue passo dopo passo.

Atteggiamenti gangsta non mancano («Gotti»), come i machismi di turno e il catalogo delle marche in cui il girone rap cerca ormai da troppi anni la vendetta per la povertà in cui ha messo radici senza che nessuno le annaffiasse. Ma poi spunta fuori il cloud rap con le sue atmosfere melanconiche ai confini con la trap più emo, soprattutto nei testi in italiano, ma non solo, le questioni sentimentali rubano spazio alla guerriglia di quartiere, «Solo piano» mette in evidenza uno strumento non certo tradizionale nella produzione trap, «'O mare» viene paragonato all'amata madre, «'Nnammurat''e te» trova il coraggio di cantare mettendosi in panni femminili, smontando nel mondo più potente possibile le accuse di maschilismo ed omofobia che sarebbe bello, comunque, vedere scomparire.

Se incontra Geolier Vale torna «int''o rione» e su un drill del defunto Pop Smole reclama il primato dell'onda lunga di Secondigliano e, tra una spacconata e l'altra, ci presta una definizione come «simm tutt secondin/ co giubbin e Valentino», sfiorando la consapevolezza di una vita-galera, in abiti griffati però.
 

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