Cesare Cremonini si mette a nudo: «Canzoni e mostri parlano dentro di me»

Cesare Cremonini
Cesare Cremonini
di Federico Vacalebre
Giovedì 10 Dicembre 2020, 09:55 - Ultimo agg. 11:30
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Va bene, come dice il sottotitolo che un po' ci vuole depistare: «ogni canzone è una storia». Ma quel titolo, «Let them talk» siamo sicuri che voglia lasciar parlare le canzoni, da «50 special» a «Maggese», da «Qualcosa di grande» a «Poetica»? «Si e no, diciamo che nel libro parlano le canzoni, ma anche i mostri da cui provengono, nel tentativo di non rinunciare alle canzoni, ma nemmeno ai mostri, educandoli, però». 

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Cesare Cremonini, 40 anni tondi. Un libro, questo, scritto durante il lockdwon. Perché?
«Per non far parlare troppo i mostri, perché in quel momento di buttar giù canzoni proprio non mi veniva, perché Michele Monina mi ha convinto a scrivere e a raccontarmi». 

Così giovane e già un'autobiografia?
«Non è un'autobiografia, è quasi più il racconto del tempo perduto che di quello vissuto». 

Chiami in causa Proust?
«No, no, il tempo perduto è la giovinezza che non ho avuto.

Il successo mi ha dato un futuro, ma, a quel tempo, mi ha rubato il presente. A 18 anni, come tanti, sono andato a vivere da solo, a 20 anni con i Lùnapop ero diventato una star e mi ero già consegnato alla mia magnifica ossessione: scrivere canzoni». 

E lasciarle parlare. Ma le canzoni che ci girano intorno ti parlano? E che cosa ti dicono?
«Poco. Le ascolto con curiosità ed attenzione, le studio, mi sorprende l'assenza nei testi di temi che le nuove generazioni altrimenti praticano molto, come l'ecologia, l'eguaglianza, il no gender». 

C'è poco spazio per chi cerca gossip o particolari privati tra le tue pagine. Appena un ricordo, gentile, della relazione con Malika Ayane, ed il rapporto con il suo amico e coautore Davide Petrella, napoletano.
«È il mio amico quantistico, oltre che un professionista stupendo. E, poi, è il mio spacciatore di canzone napoletana: amo Pino Daniele ed Edoardo Bennato, ma anche Mario Merola, c'è una canzone popolare, oltre a quella magnifica, classica, che andrebbe rivalutata». 

Di privato ci sono però i momenti difficili, quelli che qualcuno avrebbe nascosto. Ti vediamo dallo psichiatra, la schizofrenia è tra i mostri da lasciar parlare?
«Sì, le cose che ti tieni dentro ti logorano, meglio lasciarli sfogare, sia pure in una narrazione dolorosa, che mi serve ad educarli». 

Non vuoi liberartene?
«E come si fa? E, poi, si può rinunciare a una parte di noi stessi? No, vorrei che non mi aggredissero troppo, che mi lasciassero dominarli con una certa saggezza. Ogni tanto ci riesco». 

Ma da piccolo volevi fare il cantante?
«No, in casa mia non amavano granché la musica, però quando mio padre mi ha regalato un disco dei Queen ha cambiato la mia vita». 

Prima che musica ascoltavi?
«Quella che girava in famiglia, scendevo in cantina, dove c'era il mobiletto con il giradischi e mettevo quello che trovavo. Ricordo ancora il primo dischi fatto girare, era La donna è mobile cantata da Pavarotti». 

A proposito: la donna è mobile?
«Certo, ma l'uomo con lei e il mondo pure». 

Cercavo di parlare d'amore. Evitiamo risposte del tipo: io non so parlar d'amore...
«Che dire? Dietro le nostre scelte amorose credo ci sia la paura di essere davvero felici. Io sono sempre scappato dalla felicità, ora sto iniziando a proteggerla». 

Che voce ha Cremonini dopo l'operazione alle corde vocali?
«Il tagliando ad Amburgo è andato benone, penso che le nuove canzoni se ne gioveranno». 

Quando lascerai parlare le nuove canzoni, a proposito?
«Ne ho una dozzina, ed inizio ad avere voglia di scriverne altre. Ora ho la mia etichetta, la Logico Records, e un mio studio di registrazione nel centro di Bologna. Da gennaio mi metto al lavoro, con la speranza di festeggiare la fine della pandemia con la mia colonna sonora». 

E il palco?
«Per giugno ho gli stadi prenotati ma, al momento, mi sembra difficile anche parlare di concerti. Che mi mancano moltissimo». 

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