«Dieci anni dopo
con la stessa Foja»

Foja, foto di Riccardo Piccirillo
Foja, foto di Riccardo Piccirillo
di Federico Vacalebre
Sabato 5 Dicembre 2020, 12:35 - Ultimo agg. 12:42
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Come immagine di copertina del cofanetto che celebra i loro primi dieci anni di dischi i Foja avevano usato un 10 su sfondo azzurro, «ma poi è morto Diego e... abbiamo ritirato anche noi la numero 10», racconta Dario Sansone: «Celebravamo la nostra storia e il nostro campione, ma appena saputo della sua morte abbiamo capito che dovevamo rinunciare a quel riferimento. Non vogliamo che sembri che si stia cavalcando un’emozione popolare, che tutti noi condividiamo: la nazione napoletana è a lutto».
Dario Sansone (testi, voce e chitarra), Luigi Scialdone (mandolino, ukulele, chitarre) che agli esordi non c’era, Giovanni Schiattarella (batteria e percussioni), Ennio Frongillo (chitarre), Giuliano Falcone (basso) e Daniele Chessa (sound-engineer) celebrano i dieci anni dal primo disco, «’Na storia nova», che nell’occasione esce, per la prima volta, su vinile a tiratura limitata, insieme a un box, «Dieci», appunto.
Che cosa c’è nel vostro «10», Dario?
«La nostra storica, e verace, etichetta, la Full Heads, ha messo in piedi una spettacolare confezione di 4 cd che include l’intera discografia della band, i primi tre album editi, più un quarto volume contenente i singoli extra, le collaborazioni internazionali, la cover di “Maruzzella”, i brani prima solo in digitale e una chicca inedita: “‘E fronne”».
Una ballad mediterranea, plettri e ricordi adolescenziali, quasi che la «storia nova» degli esordi sia difficile da rintracciare.
«È una storia non più vergine, più sgamata, ma rinnovata ogni volta che saliamo su un palco, che cantiamo con chi ci sta davanti. È la tenerezza di quando, ragazzino, vai a prendere la tua guagliuncella fuori alla scuola e non sai proprio che cosa aspettarti e hai tutto per possibilità. Una cosa che non puoi vivere più, che vivranno altri al posto tuo».
Già nostalgico?
«Forse per natura, ma la tenerezza di quel brano è anche la tenerezza per questi dieci anni di chitarre, rock, melodie, festivaloni, clubbini, chilometri in autostrada, amori persi, amici trovati, vino, birre, emozioni. Quello che è successo in questo decennio non è mica solo roba dei Foja, noi non saremmo arrivati fin qui senza una famiglia dal cuore immenso fatta di produttori coraggiosi, manager sognatori, musicisti generosi, illustratori visionari, fonici alchimisti, grafici geniali, registi dalla sensibilità speciale, tour-manager innamorati, driver temerari, promoter amanti del rischio, addetti stampa instancabili, roadie scavezzacollo, fotografi appassionati, compagne pazienti e un pubblico che vive la musica e l’arte dal nostro lato della barricata con il fuoco dentro».
Che poi sono più di dieci anni di Foja, a contarli bene.
«Sì, ci siamo formati in una saletta del centro storico nel 2006, siamo andati avanti sino al 2011, anno del primo cd da cui discende il decennale, tra cantine, amplificatori rotti, demotape, notti bianche... Era difficile farci prendere sul serio: era svanito l’entusiasmo che negli anni Novanta aveva accompagnato l’onda di 99 Posse, Almamegretta e 24 Grana, la delusione politica si era portata via anche il dialetto, che nessuno frequentava più. Attorno a noi c’erano solo band che cantavano in inglese, noi eravamo grunge ma volevamo usare la nostra lingua, che fa sempre un po’ folk, poi...».
Poi «’O sciore e ‘o viento» vi ha lanciati, oltre tre milioni di visualizzazioni per il video diretto da Alessandro Rak con cui tu poi dividerai la nascita della nuova animazione made in Napoli. Ma i Foja dieci anni dopo riescono a vivere di musica?
«Derubricando questa brutta bestia di virus che ha ammutolito la musica e tolto il lavoro e i soldi a chi fatica sopra e attorno a un palco, diciamo che si campicchia, che alcuni di noi fanno un doppio mestiere, anche per assicurarsi una via di fuga. E questo ci rende anche più liberi».
Davvero? Non è che vendereste l’anima per essere al posto di Tha Supreme o Geolier o Madame?
«No, davvero. La libertà di star bene con la nostra musica e il nostro pubblico vale più di qualsiasi successo mainstream».
Dieci anni dopo avete ancora la stessa Foja?
«Anche di più, anche se siamo meno ingenui e più cinici, ma non meno romantici, non sembri una contraddizione. Il prossimo disco, che avevamo iniziato a registrare in marzo, si intitolerà “Miracoli e rivoluzioni” come lo spettacolo che abbiamo fatto per il “Napoli teatro festival Italia”: i miracoli sono le canzoni d’amore, perché l’amore è una cosa soprannaturale, le rivoluzioni saranno le canzoni di “raggia”, sociali, politiche, che sono cose che riguardano noi uomini».
Per i vostri fan infojati ci sono anche dei gadget: tazzine da caffè, le statuette con la coppia di «’O sciore e ‘o viento», disegni di Rak. Tutto sul vostro store digitale. Ma voi che cosa vorreste in regalo per questi dieci anni?
«Un palcoscenico, una birra e un concerto tutto sudore e adrenalina, chitarre elettriche e mandolini, ritmo e singalong».

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