Frank Sinatra a Pompei, 30 anni dopo: un docufilm con le immagini dell'ultimo concerto in Italia

Frank Sinatra a Pompei, 30 anni dopo: un docufilm con le immagini dell'ultimo concerto in Italia
di Federico Vacalebre
Martedì 28 Settembre 2021, 23:43 - Ultimo agg. 29 Settembre, 20:28
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Quella sera di trent’anni fa - era il 26 settembre 1981 - nessuno sapeva che sarebbe stata la sua ultima volta in Italia. Stanco ma non domo, il settantaseienne Frank Sinatra (12 dicembre 1915–14 maggio 1998) entrò nel teatro grande di Pompei e prima di salire sul palco, appoggiò le mani su una colonna, sorridendo al giornalista barbuto, ben più giovane e capelluto di oggi, che si era trovato davanti come in un agguato ben congegnato: «Oh, they are older than me», «sono più vecchie di me», disse delle pietre, delle rovine, di quel che restava di una civiltà antichissima di cui era un lontano discendente. Poi rubò la scena al figlio, Frank Sinatra junior, che si preparava a dirigere l’orchestra. «Come fly with me» il primo brano, la prima standing ovation arrivò dopo «The lady is a tramp», quando salutò in italiano: «Grazie mille, grazie». Il bis, «My way» naturalmente, moltiplicò l’effetto ed il trionfo. Il cantore stanco, per una notte immerso nella grande bellezza e non nella tristezza routinaria di casinò e palacosi (veniva dal Palaghiaccio di Marino e dal Forum milanese), supplì col mestiere agli acciacchi dell’età, liberando la sua mitica Voce, rotonda, dai respiri lunghissimi, un tempo vellutata e a quel punto arrugginita, calante sulle note alte, incerta, ma capace di trasformare in virtù un difetto, un tremolio, un ritardo. 

Old Blue Eyes anche in quella ultima volta nella terra degli avi sfoggiò la sapienza interpretativa che l’aveva trasformato in una leggenda. «When or where», un classico di Richard Rodgers, era ancora non a fuoco, ma già al terzo brano, «You make me feel so young» il gigione si scatenò, accarezzò quella parola, «young», tra le pietre più vecchie di lui con suprema ironia. In «My heart stood still» i legati divennero stacchi, poi lo swing nostalgico di «The best is yet to come», ben sapendo che ormai il meglio era alle sue spalle. «New York New York» la cantarono in coro tutti, e poco importava il mancato sold out e i mancati vip in platea (in prima fila, arzillissimo, l’ottantenne Roberto Murolo).

Gli arrangiamenti di Nelson Riddle, Don Costa e Quincy Jones circondavano la sua ugola, Steve Lawrence e Eydie Gorme erano (f)utili comprimari al momento di accennare a «Stranger in the night» e «All the way» sulla cui resa scherzò lo stesso Frank. 

Prima di salire in scena Sinatra aveva chiesto a uno degli uomini della scorta: «Sing, sing a song for me», e si era goduto le note di ‘«O marenariello». Chi sperava potesse intonare a sua volta «Luna rossa» o accennare comunque a un omaggio alla melodia verace restò deluso, la scaletta routinaria di quel «Diamond jubilee tour» non lo prevedeva, non concedeva spazio all’improvvisazione, pagava pegno alle tristi regole dello show stile Las Vegas. Eppure il suo fraseggiare pallido e assorto ci è rimasto nel cuore e nelle orecchie, quel triste ma non solitario finale pure. Tant’è che questo articolo non è motivato solo dal trentennale dell’evento (peraltro preceduto da polemiche e denunce che spinsero al trasloco del concerto, in un primo momento previsto nel cortile del Maschio Angioino), quanto dal restauro voluto da Massimo Gallotta - organizzatore della serata e nel frattempo trasferitosi da Caserta a New York, dove ha firmato show di Pino Daniele, Ennio Morricone, le Labelle - delle riprese del live, progettando un documentario, con il supporto della Frank Sinatra Enterprises, da presentare l’anno prossimo, magari in Italia. Mitch Jacobson (responsabile video di Rolling Stones, Aerosmith e Paul Mc Cartney) e Marc Urselli (sound engineer di Lou Reed) hanno finora editato 70 minuti di concerto, a cui andranno aggiunte interviste e immagini dall’allestimento. 

Il gladiatore stanco Frankie tornerà così in video ad affrontare il suo ultimo sipario («the final curtain») italiano, fiero di poter confessare ancora una volta di aver vissuto alla sua maniera, di poterlo ripetere dove il Vesuvio sorprese una città intera, tra quelle rovine sempreverdi, senza età, proprio come lui.

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La sera prima del live Sinatra non alloggiò a Napoli, quella del concerto tornò a Roma con il suo fido manager Pier Quinto Cariaggi. Non aveva un buon rapporto con la città dal 1953, quando si era esibito al teatro Mediterraneo accolto dal grido «Ava! Ava!» di un pubblico che voleva vedere la sua partner, la diva Gardner, e protestava per lo show troppo corto e troppo caro, come ricorda un capitolo di Frank Sinatra, l’italoamericano, nuovo libro dedicato a The Voice da Gildo De Stefano (LoGisma, pagine 216, euro 23). 

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