Gianluca Grignani a Sanremo 2023: «La mia ballata blues, storia da togliere il fiato»

«Lazza, Elodie, Ultimo sono miei amici, usciamo insieme, qualcuno di loro mi chiama leggenda»

Gianluca Grignani
Gianluca Grignani
di Federico Vacalebre
Domenica 5 Febbraio 2023, 09:00
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La sua prima volta a Sanremo, nel 1994 tra quelle che allora si chiamavano Nuove Proposte, è passata alla storia perché gli è bastata una canzone, «Destinazione paradiso», per conquistare il pubblico ed inaugurare una lusinghiera carriera. La sua ultima volta a Sanremo, l'anno scorso, ospite di Irama per duettare sulle note della sua «La mia storia tra le dita», è passata alla storia per le critiche piovutegli dalla rete: «Era ubriaco», era «strafatto» il commento tipo, «ero sotto cortisone, non stavo bene, senza non avrei potuto cantare» la sua spiegazione.

Gianluca, ma chi te l'ha fatto fare di tornare nella fossa dei leoni dell'Ariston?
«Me lo ha chiesto la canzone, che è nata una decina d'anni fa dopo la telefonata di cui parla.

L'avevo anche già iscritta al Festival, non ricordo quando, ma poi l'avevo ritirata: non era il suo momento, ora lo è. È una questione di karma».

Il tuo pezzo, «Quando ti manca il fiato», è una ballata blues, se si potesse mai azzardare la definizione, molto grignaniana nel suono e molto autobiografica: «Mio padre tornava la sera/ ed era forte quando era in vena/ questo lo ricordo bene/ sì questo lo ricordo bene. Mio padre era uno dei tanti/ ma era il mio eroe quando mi sorrideva/ vivevamo ancora insieme/ questo lo ricordo bene/ e poi... non ricordo più».
«Papà vive in Ungheria, non sa nemmeno della canzone. Parla di lui, di me, di noi, di padri e figli, ma anche, più in generale, di quelle situazioni, così diffuse e così comuni a tutti noi, per cui ti manca il fiato».

A farti mancare il fiato quella volta è stata la telefonata di cui parlavi prima: «Ciao sono papà/ Come va Gianluca?/ Ma no che non sto male/ ma quando accadrà/ tu verrai o no al mio funerale?/ Tu verrai o no?/ Ed io non ho parlato più/ Ho tenuto tutto dentro/ e ho messo giù./ Poi ci ho pensato su/ sì ci ho pensato su./ Ciao papà o addio papà/ Io ti perdono». Perdonarlo di cosa?
«Perdonare lui, e me stesso, per le incomprensioni inevitabili tra genitori e figli: bisognerebbe sapere che sono naturali e non farle diventare ostacoli insormontabili. Io ero ragazzo, ribelle, e non lo capivo, lui che non era ragazzo nemmeno sapeva evitare. Direi che il pezzo è quasi una preghiera laica, ma di questi tempi meglio lasciar perdere la religione: facciamo che è un mantra per superare certe situazioni mozzafiato».

L'essere diventato padre a tua volta ti ha aiutato a comprendere il problema?
«Sì, certo, ma credo che il pezzo sia destinato a colpire anche chi non ha figli, ma, comunque e sempre, è stato figlio».

Il 10 febbraio duetterai «Destinazione paradiso» con Arisa. Perché un'autocover? E perché Arisa?
«So che mi aspettano con il fucile puntato. Ma sono in forma, sarò in forma all'Ariston e non mi fotte niente delle sciocchezze scritte in rete. Ho scelto quel brano con cui sono partito, proprio dal Festival, 29 anni fa, perché credevo non si potesse fare altrimenti: poi ho capito che potevo scegliere pezzi non miei, ma... va bene, va bene così. Arisa mi piace, come interprete, come artista, come donna: mostra la sua emotività, ci assomigliamo, cambia pelle e faccia spesso, come un sorta di Bowie al femminile».

E dopo Sanremo?
«Torno a lavorare alla trilogia di Verde smeraldo, i miei fan la aspettano da un po', ma appena arriverà il n. 1... usciranno anche il 2 e il 3. Devo però smettere di essere troppo avanti, rallentare, Fabbrica di plastica era davvero troppo avanti, devo rientare nei ranghi».

Il ricambio generazionale nel pop italiano si sta facendo velocissimo. Come ti trovi in gara con i giovani big di Sanremo?
«Lazza, Elodie, Ultimo sono miei amici, usciamo insieme, qualcuno di loro mi chiama leggenda».

E tu?
«Rispondo che non sono ancora morto».

Ma chi sono le tue leggende?
«Il numero uno resta Dylan: non penso soli ai brani storici, ma anche a cose meno antiche, come Not dark yet: definitiva, dentro ci siamo tutti, belli e brutti. In Italia? Pochi maestri, De Gregori è quello più vicino alla figura e all'importanza di Dylan».

Intanto si completa il cast del Festival: nella finale di sabato 11, superospite Ornella Vanoni. 

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