Francesco Guccini presenta le sue Note di viaggio: «Tutti mi cantano ma io non canto più»

Mauro Pagani e Francesco Guggini 2020
Mauro Pagani e Francesco Guggini 2020
di Federico Vacalebre
Venerdì 9 Ottobre 2020, 12:50 - Ultimo agg. 21:00
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Per fortuna, dopo le cover-strazio che hanno infettato etere e web nei mesi scorsi, il capitolo secondo di «Note di viaggio» fa meglio del primo e ci regala un Guccini rivisto e corretto, ma con gusto. Il problema, certo, è che il punto di partenza non è per niente incoraggiante, come spiega Mauro Pagani, arrangiatore e regista anche di questo bis: «Tutto è cominciato perché la Bmg aveva questo canzoniere strepitoso da... rinnovare, che correva il rischio di diventare desueto. Bisognava dire ai ragazzi che Francesco è uno dei più grandi autori che la canzone italiana abbia avuto».

Una battaglia contro i mulini a vento al tempo della trap? Nel primo volume si era chiesto a Sangiorgi, la Vicario(?), Gabbani, Agnelli, Brunori Sas, la Ayane, di fare da passepartout generazionale, ma non era andata benissimo sul fronte artistico. Il Maestrone non è autore per tutti, burattinaio di parole, anche nel senso che ne mette più lui di parole in un brano che altri in un disco. Non è un caso, che manchi all’appello «La locomotiva»: «Troppo lunga, non ci siamo più abituati, non potevamo permettercela», spiega l’ex Pfm.
 

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D’accordo Guccini?
«Per niente», risponde l’ottantenne icona cantautorale, in collegamento Zoom dalla casa di Pàvana. «Una canzone deve avere il tempo di raccontare la storia che vuole raccontare. Io quelle 13 strofe le ho scritte in venti minuti, ma non le puoi raccontare in tre minuti. Quando uscì “L’avvelenata”, pezzo di cui poi mi sono pentito, la misero contro il mio volere nei juke-box: era così lunga che non finiva, si alzava la puntina lasciandola incompiuta».
 

La copertina di questo «Note di viaggio - Capitolo 2: non vi succederà niente», di Tvboy come l’episodio precedente, raffigura lei, Pagani e i dodici interpreti coinvolti nelle fattezze dei protagonisti de «Il quarto stato» di Pellizza da Volpedo.
«L’idea mi ha divertito, con tutto il rispetto per gli ideali di quel quadro. Il proletariato non esiste più, non esistono più uomini in marcia verso il futuro da costruire».
 

Eppure Gianna Nannini, una delle protagoniste di questo disco in uscita domani, dice che lei «è sempre il futuro».
«È gentile, ma io non sono il futuro, in musica no davvero. Non canto più dal 2011, la voce dopo le 11 di mattina mi va via subito. Dall’altra parte della stanza ci sono due chitarre chiuse anche loro dal 2011, non sono impolverate perché sono dentro le loro custodie, ma moralmente sono impolveratissime. Però come scrittore ho futuro: scrivo, sta per uscire il mio nuovo libro diviso con Loriano Macchiavelli».
 

E non le manca comporre nuove canzoni? O il pubblico dei concerti?
«I concerti proprio no, non mi sentivo mai pronto, a mio agio. Però mi manca la mia band e le cene dopo lo show, con barzellette, cibo, racconti, bevute, fino a 16 bicchieri della staffa».
 

Insomma, tutto va bene nel buen retiro di Pàvana.
«Ma sì, ora c’è il coronavirus, ma io al massimo esco per andare allo spaccio e qualche sera a cena con gli amici alla caciosteria Due Ponti, che non manca nei crediti del disco. Cosa faccio? Scrivo, guardo RaiStoria, programmi frivoli come i quiz, il tg che sento più vicino alle mie idee, ma sadomasochisticamente anche quello più lontano, così posso arrabbiarmi un po’. E ascolto audiolibri, gli occhi, come la voce, non funzionano più».
 

Nel disco ci sono gucciniani doc (Vecchioni, innanzitutto, Zucchero, la Nannini) e non, come la nuova leva di Mahmood, Levante, Ermal Meta, Fabio Ilacqua. Preferenze?
«Non se ne possono fare. Mi incuriosisce sempre quando qualcuno canta cose mie. Ma sono contento di avere avuto la Mannoia, mi è piaciuta molto Petra Magoni, ho scoperto ragazzi che non conoscevo e mi sono commosso: a 80 anni ci si rincoglionisce pensando al passato e in quelle canzoni c’è dentro il mio passato».
 

Capossela con «Vedi cara» paga un pegno di gratitudine, non solo artistica.
«Ci siamo conosciuti a un Premio Tenco, mi diede una cassetta che non ascoltai. Venne a casa mia a Bologna, in via Paolo Fabbri e la sentimmo insieme. Era bravo, lo raccomandai al mio produttore di allora, Renzo Fantini, con cui poi ha lavorato. Non ho mai prodotto nessuno, non è il mio mestiere, ma lui valeva e lo raccomandai, come feci con Claudio Lolli».
 

Chiudiamo con la politica?
«I populisti inseguono i pensieri peggiori delle persone: anche qui in paese i migranti sono visti con sospetto. Il problema è che non si legge più, non si approfondiscono i temi, i problemi. Persino chi si dice cattolico segue il peggio di quello che chiede la piazza».
 

«Migranti» è anche il titolo della canzone inedita che lei canta a chiusura del disco.
«Caterina Caselli, antica amica, mi chiese un brano con quell’argomento, Enzo Iachetti la
portò a un Sanremo, Baglioni la bocciò, forse non la ascoltò nemmeno.

Nel primo disco con la pistola alla tempia di Pagani registrai “Natale a Pavana”, stavolta ho avuto meno paura del suo grilletto, mi sono fermato a qualche strofa».

La Bmg non esclude un volume 3 di «Note di viaggio» e organizza per primavera un concertone dedicato a Guccini all’Arena di Verona.

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