La seconda vita di Al Bano: «Ma ho detto no a un film sulla mia storia»

La seconda vita di Al Bano: «Ma ho detto no a un film sulla mia storia»
di Andrea Spinelli
Lunedì 27 Agosto 2018, 12:00
3 Minuti di Lettura
Non è mai stato tanto presente sui media da quando il 15 novembre scorso ha annunciato: «Smetto fra un anno». Otto mesi dopo la decisione è ancora quella, anche se un po' meno inappellabile. «Devo curare le mie corde vocali, perché le ho massacrate per 75 anni», spiega Al Bano. «Finisco gli impegni di quest'anno e poi si vedrà se torneranno a posto o dovrò smettere. Non dipende da me, ma dal buon Dio. Il cantare è un dono del cielo, doverne farne a meno sarebbe dura, durissima».

Intanto il cuore funziona bene?
«Per fortuna sì. È chiaro che il problema alle corde vocali è dipeso anche dall'ischemia di un anno e mezzo fa; fortuna vuole che possa cantare ancora, ma la botta c'è stata».

Rovazzi definisce la sua voce un'arma non convenzionale. Com'è stato lavorarci assieme?
«La collaborazione con lui è stata un altro regalo del buon Dio. Fabio è un ragazzo intelligente, di grandi qualità. Basta pensare alle piccole, grandi, genialità che ha saputo mettere nel video di Faccio quello che voglio. Riunire in un filmato di 9 minuti calibri come Morandi, Volo, la Pavone, Ramazzotti, Briatore, non è cosa da tutti i giorni. E poi l'idea delle bottigliette che contengono il talento liquefatto degli artisti è semplicemente eccezionale».

Progetti?
«Due special per Canale 5 di Al Bano nel mondo; cominciamo agli inizi di settembre da Baku, in Azerbaijan. A marzo dell'anno prossimo inizierà a girare con la Publispei una fiction in 6 puntate per la Rai dove non canterò, ma, per riposare le corde vocali, mi limiterò a fare l'attore».
 
L'ultimo colpo dei rotocalchi è stato: Al Bano e Romina paparazzati durante cena romantica. Il gossip viene sempre prima del vostro essere artisti?
«Già, e devo ringraziare Megan e il Principe Harry se, finalmente, ho un po' più di pace. Ma, purtroppo, non quanta ne vorrei. Siamo andati a cena io, un mio amico e Romina col suo cane, poi, all'uscita, un ambulante pakistano mi ha offerto delle rose e, siccome fare beneficenza fa bene alla salute, gliele ho comprate. Come ovvio che fosse, le ho poi date a lei. Tutto qui. Apriti cielo. Per i giornali è diventata: cena romantica al ristorante giapponese sorseggiando vino bianco. Ma quando? Io al ristorante giapponese bevo sakè».

Quando vi siete ritrovati, a Mosca cinque anni fa, disse che non si fidava di Romina. Ora, però, deve ammettere di essersi sbagliato.
«Vero che non mi fidavo. Ha deciso lei di starsene lontana per 18 anni e lo scotto c'era. Però ho scoperto, con gioia, che fra noi c'è ancora un affiatamento eccezionale, come se niente fosse successo. Cantiamo, ci divertiamo, siamo diventati fratello e sorella. E va bene così».

Le ruggini dell'ultimo concerto, nel 94 a San Siro, sono acqua passata, dunque.
«Quella sera c'erano 40.000 persone e le dissi: Vedi Romina questa gente? Guardala bene perché non la vedrai mai più. E lei mi rispose: Chi se ne importa. Effettivamente se fosse rimasta in America, se non avesse accettato l'idea di festeggiare i miei 70 anni quella sera a Mosca, è chiaro che non l'avrebbe più vista».

Il produttore russo Andrej Agapov, quello che vi ha rimessi assieme, aveva in progetto un film su di voi.
«Alla fine sono stato io a declinare l'offerta. Perché l'idea di fare un film sulla mia storia non mi sembrava un granché e poi c'era della fantasia nel copione, mentre io avrei voluto veder raccontate le cose così come sono andate realmente. Agapov mi disse che quello voleva il pubblico e io gli risposi che io, invece, volevo verità».

Un copione si può sempre riscrivere.
«Con i russi o è da o è niet. E ho preferito niet».
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