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Il ritorno di Rocco Hunt dopo il ritiro: «I miei versi per il riscatto del maledetto Sud»

di Federico Vacalebre
Articolo riservato agli abbonati
Martedì 27 Agosto 2019, 12:00 - Ultimo agg. : 20:38
4 Minuti di Lettura

Ha solo 24 anni, Rocco Hunt, eppure si sente come se stesse ricominciando daccapo, anche se non proprio da zero. Ha solo 24 anni Rocco Pagliarulo, da Salerno, eppure è convinto che questo suo quarto album, in uscita venerdì, sia un nuovo debutto: «Libertà», annuncia/promette il titolo di un disco che al rap da cui il ragazzo prodigio dell'hip hop italiano era partito aggiunge tanta trap e tanta voglia di romanticismo neomelò in un cocktail urban pop fortemente influenzato anche dal mucchio selvaggio degli ospiti e dei produttori.

Allora, Rocchino: un mese fa o giù di lì gridasti: fermate il mondo voglio scendere. Pochi giorni e ritirasti l'annuncio del ritiro, soddisfatto di aver sbloccato l'uscita di questo disco. Tutto bene, ora?
«Sono quattro anni che non usciva un mio album, il primo rinvio lo avevo causato io, non mi sentivo in sintonia con i tempi, il mio disco sembrava superato dal ciclone trap, poi ho trovato la quadra e... un altro rinvio, poi un altro rinvio... Ora ci siamo».
 
Pentito di quella sparata? La rifaresti?
«Se messo alle strette sì, magari senza arrivare all'ultimo minuto, magari con meno clamore... Ma forse, perché fosse sentito, il mio urlo doveva essere così: improvviso, forte, di pancia. La mia voce si deve sentire, ricordi?».

Veniamo al brano del titolo, che chiude il disco: che cos'è la «Libertà»?
«Quella che finalmente ho, facendo sentire la mia voce attraverso questo disco. Quella che inseguo per fare musica alla mia maniera. Quella che non sentirò di aver conquistato sino a quando il mio popolo, la mia terra, non sarà libera da schiavitù spaventose, dalla malavita organizzata».

Ne parliamo tra un po'. Nel pezzo c'è spazio per un tuo professore poco lungimirante («me dicette tu rieste miezz''a na via»), ma anche per il tuo personalissimo programma elettorale. Sulla base griffata Fabio Musta canti: «Si fanne a me presidente, desse a fatica a tutte quante/ pe seconda cosa ossaje legalizzasse sta pianta».
«C'è ironia nel pezzo, c'è rabbia per la classe politica e dirigente che ci porta solo allo sbando, c'è consapevolezza che promettere lavoro per tutti è impossibile, proprio come, in Italia, legalizzare la ganja. Ci sono versi che qualcuno prende troppo sul serio, quando rimpiango la lira non sono contro l'euro: ricordo le mille lire che mi dava la nonna per comprare il gelato, il primo stipendio di mio padre...».

Prima parlavi della tua terra: con il fratellino di sempre Clementino in «Maledetto Sud» volano parole grosse.
«Lodiamo e malediciamo una terra amata come solo una donna può essere, come la migliore delle mamme che rischia di tradire il figlio. L'idea è di Clemente, dentro c'è il bisogno di riscatto del Mezzogiorno, una chiara denuncia della camorra: spari in aria, la terra dei fuochi che brucia ancora...».

Di Meridione, in chiave nostalgica, parla anche «Nun se ne va»: «Dove sto andando chissà, da dove vengo lo so». In tutto il disco c'è un senso di attaccamento alle radici, parli di tuo padre tifoso, di tua mamma cresciuta in un orfanatrofio...
«Sono quelli i motivi della rivalsa che inseguo in Mai più con Achille Lauro: che da un lato è un classico del rap, ma che per me è una storia diversa. Non penso ai macchinoni e ai collanoni, ma alla mia famiglia che vive tranquilla, alla mia gente che vorrei vivesse meglio».

Insomma a «nu juorno buono» che non viene per tutti. Con Achille Lauro gli ospiti e i producer sono tanti, non scelti a caso.
«Tra i produttori ci sono Boss Doms e Zef, ma soprattutto Nazo. Tra gli ospiti si va da Neffa, che fu tra i primi rapper italiani e poi ci ha mostrato la strada del soul, a J-Ax, ai Boomdabash, a Clementino, alle giovani realtà campane di Geolier, Nicola Siciliano, Speranza...».

Generazioni unite dal nuovo suono trap.
«Ci sono molte canzoni d'amore, autotune, il dialetto napoletano, anzi la lingua napoletana che ormai non è un peso ma fa figo, va di moda, grazie a Gomorra, a Liberato, forse un po' anche a me. Ci sono le mie radici hip hop, c'è la trap, c'è l'influsso della stagione neomelodica... Da dove vengo lo so e si sente, dove sto andando si inizia a capire, anche dal suono: vogliamo chiamarlo soultrapmelò?».

Chiudiamo con il calcio: in «Mai più» citi Immobile («Mi sento come Ciro dopo quattro goal»), in «Street life» evochi «'nu scugnizze ca cazzimma e Lorenzo Insigne».
«Non è questione di squadra, ma di popolo: sono due scugnizzi venuti da Frattamaggiore e Torre Annunziata, come io vengo dalla Ciampa di Cavallo, sono storie di quel Sud maledetto che diventa benedetto».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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