James Senese, il gran ritorno: «Il mio sax oggi prega, urlare non serve più»

James Senese, il gran ritorno: «Il mio sax oggi prega, urlare non serve più»
di Federico Vacalebre
Giovedì 28 Aprile 2016, 14:27 - Ultimo agg. 29 Aprile, 13:15
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La rabbia c'è ancora, ma James Senese, un gigante della musica italiana che non mostra certo i suoi 71 anni, ora preferisce farla implodere in un blues piuttosto che farla esplodere in un urlo del suo sax, in un barrito da neo-honker. Ci sono gli amati John Coltrane, Miles Davis e James Brown («Mille poesie») nel suo nuovo album, «'O sanghe», in uscita domani per Ala Bianca/Warner, c'è la consapevolezza di stare a Napoli come Fela Kuti stava alla Nigeria, di aver inventato (insieme all'amico di sempre Pino Daniele) il neapolitan power proprio come il Black Presidente fece con l'afrobeat. Ma il sound s'è fatto più pacato, i groove meno serrati, il canto - sempre veracissimo - meno incazzato, ma non per questo meno amaro, se si pensa che tutto comincia con «Bon voyage», auguro disilluso al figlio di un amico che emigra, che parte «pe' non murì».

Che cosa succede James?
«Succede che ho capito che urlare non serve più, che tutte le lotte che abbiamo fatto non hanno risolto nulla. Oggi il mio sax è una preghiera, solo un miracolo può salvarci».

Quello di San Gennaro?
«No, il sangue del titolo è quello del popolo, di tutti i popoli, di chi getta il sangue in tutto il mondo. Dei povericristi che solo un Cristo potrebbe salvare. Non credo non nelle chiese, nelle gerarchie, nelle religioni, ma credo in un aldilà, in un paradiso. E so che, sempre più, la nostra vita è un inferno».

Di questo parla in maniera esplicita «Addo' se va».
«Il testo non lascia dubbi: È cagnata a situazione/ chissà comme va a fernì/ nun è solo na nazione/ tutto o munno sta a mpazzi' / Cazzi amari all'orizzonte/ e areto nun se po' turna'/ Pe' nu muro ch'è caruto/ n'ate ciento stanno a aiza'.. Pure a Chiesa vo' cagna'/ nun c'è sta cchiù devozione/ e nun sape c'adda fa/ Nun c'è basta nu Francesco... Tene solo na speranza/ ritornare in povertà. È la canzone della speranza che è morta, di una società che chiude gli occhi di fronte ai suoi problemi. Di Jamesiello, il ragazzino che gli altri sfottevano, ma che la vita del vicolo ha saputo far crescere con la musica nelle vene. Di James che resiste, suona, canta, prega a Madonna e va avanti».

Napoli Centrale torna in formazione allargata, anche se il motore di tutto restano i fidi Ernesto Vitolo (tastiere), Gigi De Rienzo (basso e produzione artistica), Fredy Malfi (batteria). E ritrova, dietro i tamburi e come autore, un vecchio partner come Franco Del Prete, autore di sei testi e ospite anche del tour al via il Primo maggio da Reggio Emilia, per arrivare Napoli già il 14, nel neonato Club Partenopeo di Bagnoli, l'ex Voga.
«Il filo rosso con quello che abbiamo fatto con gli Showmen, con Pino, con Napoli Centrale è evidente. Ma anche il bisogno di andare oltre. Io sono rimasto fedele a me stesso, non mi sono venduto, sono sempre il nero di Miano, scomodo, abituato a vivere la sua musica, anzi a mettere in musica la sua vita».

«'O sanghe» a tratti sembra il disco napoletano che i Weather Report non hanno mai inciso («Addo' se va»). O il lavoro di un soulman veracissimo («'O sanghe»), di un funky brother («Tutto e niente»).
«Portiamo l'America nel nostro dna culturale, io anche nel sangue, nel colore della mia pelle. Napoli ci ha regalato la possibilità di andare oltre, di aggiungere al blues, al jazz, al soul, le nostre radici. Oggi canto i sentimenti perduti, non lancio più il grido rabbioso del bracciante sfruttato, mi chiedo come possiamo tradire Dio rinnegando la natura, la nostra natura umana, le regole condivisibili da qualsiasi religione e da qualsiasi laico dei Dieci Comandamenti. Come le religioni possano dividere i popoli, inve di unirli».

«Povero munno», testo di Enzo Gragnaniello, è un j'accuse disperato. «Portame cu' tte» e «Il mondo cambierà» sembrano più esorcismi che speranze. Per fortuna che ci resta la musica?
«Il sax ha cambiato la mia vita, l'ha salvata. Mi ha permesso di soffiarci dentro, e poi via, angosce e paure. Mi ha dato il riscatto, mi ha permesso di suonare e cantare per gli ultimi, perché dagli ultimi vengo. Dio, la mia famiglia, gli amici, mi hanno permesso di arrivare sin qui, senza certezze. Mi bruciano gli occhi, il cuore e l'anima. Mi fa male il mondo, dobbiamo ripartire dal rispetto e dall'accoglienza dell'altro. Ma serve un miracolo. E i miracoli non li fanno gli uomini, soprattutto quelli piccoli piccoli dei nostri tempi. Per questo nel brano che dà il titolo al disco mi rivolgo al Signore con il tu pregandolo di fare qualcosa prima che sia troppo tardi, se non è già troppo tardi». 
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