Le «Metamorfosi» di Capriati:
«Senese e l'house le mie radici»

Joseph Capriati e James Senese
Joseph Capriati e James Senese
di Federico Vacalebre
Venerdì 11 Settembre 2020, 19:27 - Ultimo agg. 12 Settembre, 08:36
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Giuseppe Capriati è tornato a casa, nella sua Caserta, anche se anche lì ormai è per tutti Joseph, uno dei top dj del mondo. «Tre mesi di lockdwon a Barcellona avrebbero ucciso chiunque», spiega: «Abito lì perché in Spagna lo stato non ti mangia tutto con le tasse, come succede in Italia. Ma casa è qui, almeno in questo periodo di fermo obbligato me la godo, con mamma, la sua cucina, papà, mio fratello, gli zii, Napoli a un tiro di schioppo». Ecco, dimenticate il concetto del dj tutta vita spericolata e, con il disco di Capriati appena uscito, «Metamorfosi», dimenticate anche la techno con cui Giuseppe/Joseph ci fa ballare da oltre un decennio: questa è «intelligent dance music», azzarda qualcuno, di sicuro è «house, elettronica, cinematica, mette insieme i beat con cui sono cresciuto, che suono da quando avevo 11 anni, anche se poi ho sfondato con la techno. Diciamo che approfitto delle discoteche chiuse per propormi in un altro modo», spiega Capriati, «poi nel 2021 tornerò anche alla techno».
Quando dici che suonavi house a 11 anni che vuol dire?
«Che da ragazzo non sapevo nemmeno che esistessero i dj, che cosa facessero. Ne vidi uno all’Indipendence day che i militari americani festeggiavano a Caserta in piazza Vetrano: avevo 11 anni, appunto. Capii poco, tranne che era quello il mio futuro».
E poi?
«Corsi a casa, uno stereo c’era, ma mio zio mi spiegò che servivano almeno due piatti, e ben diversi, e un mixer e che costavano bei soldi. Eravamo una famiglia umile, così d’estate mi misi a lavorare per l’impresa edile di mio zio, portavo la cardarella e fui ricompensato più di quanto meritassi. Comprai un piatto Gemini, un amico mi prestò un mixer strausato a due piste, aggiunsi il giradischi che avevamo e... iniziai la mia gavetta comprando due dischi che suonai a manetta per anni».
Li ricordi?
«Uno sì, e credo dica tutto: era “House music” di Eddie Amador».
Ma come si conquista il mondo?
«Per caso. Il mixer diventa la mia vita, entro in una radio, quella radio mi porta a una discoteca, il Subway: ho 14 anni, suono “commerciale” a tutte le feste di compleanno e nei fine settimana, quando posso metto quello che piace a me. La discoteca mi porta a uno studio di registrazione, dove mi spiegano come si fa la dance. Installo il programma necessario sul computer che avevano regalato a mio fratello per la comunione e mi chiudo dentro, negandomi a tutti gli amici che mi chiedono di uscire con loro. Incido un pezzo, qualcuno mi dice che lo pubblicherà. Intanto ho finito il liceo linguistico, per un anno non faccio niente e mammà si dispera, mi convince a fare il poliziotto: prima, però, devo fare il militare, metto tutte le carte a posto, ma mi scrivono che manca un documento. Intanto, quel primo disco piace a qualcuno e...».
E?
«Ho meno di vent’anni quando “Microbiotic” esplode e il mondo sembra non aspettare altro che me: da allora giro come una trottola anche se agli inizi avevo paura che tutto svanisse come un miraggio. A tranquillizzarmi ci pensarono i miei amici/maestri napoletani Rino Cerrone e Markantonio: “Hai talento, resterai”, mi dissero, ed eccomi qui».
«Metamorfosi», che esce anche in formato fisico, e presto anche in vinile triplo e cassetta, esce per la tua etichetta personale, la Redimension Music.
«Così sono libero di tenere insieme beat lenti, euforia acid, melodie, sentimenti cosmici come quelli alla base di “Goa”. Rileggo “Spirit brothers” con Louie Vega, che con Kenny Dope Gonzalez, i Masters at Work insomma, rimane il mio punto di riferimento insieme a Carl Cox. In “It’s all about love” collaboro con Eric Kupper e Byron Stingily».
Ma la sorpresa maggiore è «New horizons» con James Senese.
«Il suo sax ha scandito i nuovi orizzonti della musica napoletana, italiana, europea. Pino Daniele ha mostrato la strada, con lui James, De Piscopo, Esposito, Avitabile... Ho immaginato una base trip hop, tra Tricky e i Massive Attack, su cui fare imbizzarrire il suo sax. Non ho fatto rivoluzioni, ma il connubio è nuovo e potrebbe essere foriero di ulteriori sorprese».
Ma come vive un dj costretto alla clausura?
«Come un leone in gabbia. Da stakanovista che ero - ho fatto anche 160 serate in un anno, sparse per i 5 continenti - avevo deciso di suonare di meno e meglio, quando puoi devi imparare a dire dei no, a selezionare. Ma ora... non vedo l’ora di tornare in pista. La nostra vita è bella ma anche stressante, come hanno mostrato gli addii ad Avicii e Morillo, ma... la rivoglio al più presto».

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