Clementino: «La vita è una tarantella ma il rap mi ha salvato»

Clementino: «La vita è una tarantella ma il rap mi ha salvato»
di Federico Vacalebre
Sabato 4 Maggio 2019, 10:05
4 Minuti di Lettura
Masaniello/Clementino è tornato: «Io sono tra gli ultimi superstiti di una grande generazione/ stavo vomitando dopo la tua esibizione/ Ti ho visto in televisione/ ma quale condivisione/ avete rovinato una rap generazione» spara veloce e feroce in «Ghandi», il brano che apre il suo nuovo, ottimo, album, molto più di un dissing contro i trapper arrembanti, quasi un manifesto, di stile hip hop, ma anche politico: «Rispetto gli uomini che vanno a donne/ rispetto le donne che vanno a uomini/ rispetto gli uomini che vanno a uomini/ rispetto le donne che vanno a donne/ contrario agli uomini che picchiano donne/ contrario alle donne che picchiano uomini/ ma ancora non ho idea su donne e uomini/ che vanno a Uomini e donne... Sono Gandhi fuori/ E vafammocca dentro».

Un flow da killer, ma anche pagine introspettive, inattese, Clemente.
«Sto bene, mi sono ripulito e ho avuto il tempo per fare un disco come va fatto, senza fretta, ho scelto tra una settantina di tracce. Ci sono brani divertenti e cose più serie, persino dark».

Partiamo dal titolo.
«Ancora un titolo riferimento alla nostra cultura partenopea, giocando con il doppio significato, quello della danza del morso della taranta e quello delle tarantelle/guai che dobbiamo affrontare ogni giorno».

«Cimitile pareva infinito/ nu futuro ca nun è garantito/ e vuleve cagna' chesta vita/ fra' mo nun ce crero ca c'aggia riuscito». La vita è stata una tarantella anche per te.
«Sì, non scordo da dove vengo e il successo non basta, anzi: quando hai preso una macchina vuoi la moto, quando hai preso la moto vuoi... e finisci per confondere il giorno con la notte, il lavoro con la festa. L'hip hop mi ha salvato, sono un ragazzo cresciuto nella provincia in cui non c'è niente, se non fossi stato sempre un fessacchiotto chissà che fine avrei potuto fare. Nel non luogo dove sono cresciuto, dove oggi cerco di essere un punto di riferimento, il rap mi ha permesso di diventare qualcuno, invece di essere uno dei tanti nessuno».

 

In copertina sei un pischello biondo.
«Quella foto è l'inizio di tutto, il ragazzino che sognava quello che poi è successo. Ho 36 anni, non immaginavo di arrivare fin qui, non ci speravo, ma... sì, l'ho sognato».

E, vent'anni dopo i primi freestyle, mister Maccaro, detto anche Iena White, reclama il senso originario del rap come «Cnn del ghetto», ridà potere alla parola?
«Proprio così, ho letto tanto, da Verne a Saviano per trovare ispirazione e spunti. Ho imparato nuovi termini, cercato nuove rime. Ho scritto nelle case galleggianti di Amsterdam come sull'oceano in Portogallo, a Napoli come a Milano».

«Chi vuole essere milionario» è roba da «Rapstar» ti fa ritrovare Fabri Fibra.
«Abbiamo tirato fuori questi versi che non sono da poveri ma belli, ma provano a riflettere sulla smania del nostro tempo, soprattutto del nostro settore».

Parli molto di rap, ti rivolgi spesso ai rapper e ai trapper.
«Ho grande stima per le nuove generazioni di rapper, qui ho voluto collaborare con Nayt, oltre che con Gemitaiz, che è già affermato. Ma credo si stia perdendo il senso dell'hip hop: preferisco avere duemila persone sotto il palco per una lunga carriera, che due milioni di follower da un post e basta. Fare rap vuol dire dare parola alle tue gioie e ai tuoi dolori, con ironia, con rabbia, con sentimento. Il valore di un rapper si calcola in base alla carriera, alle canzoni scritte e ai concerti fatti, non sui like collezionati sul web. È questo che ha rovinato una rap-generazione».

Hai parlato dei «featuring»: «Babylon» è un travolgente duetto con Caparezza.
«Da anni volevamo fare una cosa così, sudista al cento per cento, compresi i ragazzi della Notte della tammorra, sul cui ritmo ci esibiamo noi due. Michele è un funambolo».

In un paio di brani citi Pino Daniele.
«È il maestro, anzi o masto. E gli piacevano certe mie canzuncelle».

Tra brani che sembrano pagine di un diario, artistico come privato (c'è persino il periodo passato in comunità a disintossicarti), c'è un Clementino politico.
«Un napoletano non può stare con Salvini. E io non posso stare con quelli che vogliono chiudere i porti, alzare i muri, tornare nel Medio Evo sul fronte dei diritti civili delle donne, dei gay».
`domani firmacopie napoletano alle 16 alla Feltrinelli Express di piazza Garibaldi.
 
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