Laura Pausini: «In un docufilm la mia vita senza Sanremo»

Laura Pausini: «In un docufilm la mia vita senza Sanremo»
di Federico Vacalebre
Mercoledì 6 Aprile 2022, 09:30 - Ultimo agg. 15:43
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Ci voleva un narratore visivo pop come Ivan Cotroneo per raccontare in immagine che cosa sarebbe accaduto se Laura Pausini non avesse vinto Sanremo il 27 febbraio 1993. «Perché, non giriamoci intorno, noi siamo italiani e il Festival è tutto. O, comunque, se non l'avessi conquistato a 18 anni con La solitudine non avrei fatto la cantante famosa, ma quella da pianobar. E solo per piacere: dalle mie parti, a Solarolo, le donne mica le pagavano per cantare nei locali, così mi preparavo a studiare architettura o a fare la ceramista, altre passioni che portavo dentro». Laura Pausini e l'altra Laura, quella che non c'è, quella che poteva esserci, Laura B. È un gioco alla «Sliding doors» «Piacere di conoscerti», il docufilm, diretto appunto dal regista napoletano, da domani su Prime Video in 240 nazioni tra materiali d'archivio, realizzati per l'occasione e scene di fiction. 

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Ma perché una star internazionale a 47 anni, e alla vigilia del trentennale di carriera, ha voglia di guardarsi indietro, addirittura di immaginare che nulla sia successo?
«In realtà ipotizzo che sia successo altro, cosa altro sarebbe potuto succedere.

Non volevo un documentario di autocelebrazione ma un viaggio introspettivo. Volevo dire che troppo spesso ci viene insegnato che l'unica cosa che conta è vincere. Anche mia figlia, lo confesso con paura, vive in un mondo fatto solo di like, di fama, di social. Non è così, volevo mostrare, anche a lei, che la Laura non famosa sarebbe potuta essere soddisfatta, realizzata, lo stesso. C'è una scena in cui la Laura famosa e quella non famosa cantano Destinazione Paradiso: una in trattoria, l'altra in uno stadio. Felici tutte e due, brave tutte e due, diversamente».

Ma anche il tuo fidanzato sembra ti abbia sollecitato: «Sì, ma meglio di successo che senza».
«È vero, me lo ha detto. Ma credo che non sia il successo, la fama, il conto in banca, il tavolo al ristorante che esce anche all'ultimo minuto a fare una persona. Alla fine, quando te ne stai andando e rivedi tutta la tua vita in un secondo, conta se sei stata felice, se sei stata te stessa. E io, anche senza successo, avrei provato ad esserla».

A proposito di fidanzato, ma con Paolo Carta non dovevate sposarvi?
«Me lo ha chiesto dieci anni fa, ma sette giorni dopo ero incinta. Rimandammo per aspettare che nascesse Paola, che oggi ha 9 anni, poi ci ha pensato il Covid a scompaginare i piani. Stiamo insieme da 17 anni: la fede sarebbe un atto simbolico».

Quando ti è venuta l'idea del documentario?
«Me l'avevano proposto nel 2018, mi sembrava un'operazione autocelebrativa. La pandemia mi ha dato tempo a disposizione, una notte ho scritto sul telefonino questa storia che avevo nella testa da quasi trent'anni».

Ma davvero ti immagini una quarantasettenne come le altre, che fa la ceramista a Faenza, che ha un figlio che si chiama Marcello, come il figlio che i tuoi genitori hanno perso prima di avere te e tua sorella?
«Si, volevo fare la cantante, e, lo avete visto, canta anche la Laura B. A 18 anni, tornata da Sanremo, c'era gente accampata fuori casa. Mio padre decise che quello dovesse diventare il mio fan club, ora è un museo, onore che di solito ti riservano dopo che sei morto. Tutto quello che vedete nel film, la scatola delle memorie agli inizi, la cucina, la macchina: è tutto d'epoca, sono tutti pezzi della mia vita. Marcello era il nome che mi avrebbero dato mamma e papà se fossi nato maschio».

Il momento più basso e quello più alto della tua carriera planetaria?
«Il più alto è Sanremo: La solitudine ha cambiato la mia vita. Ogni volta che riguardo il filmato mi viene da piangere. Il più basso il Latin Grammy vinto nel 2005 con Escucha: tornai in hotel a Los Angeles e non avevo nessuno con cui festeggiare. Ordinai un panino. Il cameriere si presentò con una bottiglia di spumante per farmi compagnia. Ma della mia vita non cambierei nulla tranne qualche incontro: due-sei-dieci, facciamo quindici persone. Pessime».

Laura famosa e Laura B si incontrano nel finale sulle note di «Scatola».
«Il lockdown è stato tremendo: io vincevo il Golden Globe con Io sì (Seen), vivevo l'avventura degli Oscar e il resto del mondo soffriva. Perché proprio a me?, mi chiedevo. Così ho guardato indietro, ho capito, senza rimpiangere o rinnegare niente, che con il successo avevo lasciato in sospeso i miei sogni da ragazzina».

Paola, sembra di capire, è il perno della tua vita.
«Si. Sto diventando pudica, ho paura di scoprire troppo le tette ora che lei si è fatta più grandicella. Non posso mettere una parolaccia in una canzone altrimenti mi dice che le può dire anche lei. Così nel film c'è un momento chiave per tutte e due. Era abituata a vedermi vincere sempre. Sono tornata dal Golden Globe vincitrice, sono tornata sconfitta dagli Oscar. Ma ero la stessa, ed ero orgogliosa».

Dal 10 al 14 maggio condurrai l'«Eurovision» con Mika e Cattelan.
«Le voci di liti con Alessandro sono false, con lui c'è sintonia. Ho letto dei miei tanti cambi d'abito, ne farò tre».

Ma un nuovo disco della Laura Pausini famosa quando esce?
«Non lo so, sono bloccata e in ritardo: era previsto per l'ottobre 2021. Non ho canzoni che voglio cantare».

Niente niente ti dai al cinema?
«No, il cinema mi ha corteggiata, ma non farò l'attrice, sono imbranata e i miei compagni di set se ne sono accorti, non so ripetere mai due volte la stessa battuta. Però un musical sulla mia vita mi piacerebbe». 

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