Ligabue, la confessione: «Nel 1999 volevo smettere»

Ligabue, la confessione: «Nel 1999 volevo smettere»
di Federico Vacalebre
Mercoledì 2 Dicembre 2020, 08:30 - Ultimo agg. 3 Dicembre, 00:50
5 Minuti di Lettura

«Non è vero ma ci credo»: Eduardo non c'entra, almeno per una volta. Luciano Ligabue, 60 anni, assicura di non essere un fissato con la numerologia, ma poi ti spiega perché il suo album di inediti si chiama «7» e la sua antologia «77+7»: «Qualcuno mi ha fatto notare che la mia carriera si è svolta nel segno del 7, che sono anche le lettere del mio nome, come del mio cognome. San Luciano è il 7 gennaio, io ho tenuto il mio primo concerto nel 1987, il mio primo stadio è del 1997, la mia canzone di maggior successo è Certe notti, che era la traccia n.7 di Buon compleanno Elvis. Così quando ho scoperto che avevo fatto uscire 77 singoli...».

LEGGI ANCHE Ligabue torna con il nuovo album: dopo quasi due anni solo “7” inediti

Hai deciso di scrivere 7 inediti?
«No, ho cercato negli archivi e...

guarda caso ce ne erano proprio sette adatti a questa...».

Lotteria?
«È un modo per reagire al lockdown. Io vivo per il palcoscenico, ho dovuto fermare la macchina, rimandare tutto all'anno prossimo, così... Sono trent'anni di carriera, di musica».


Qualcuno ha fatto anche il calcolo che hai fatto uscire un singolo ogni 5 mesi, da vero stakanovista. Non avrai esagerato?
«Sì, lo ammetto e chiedo scusa».


Anche perché in mezzo ci sono anche tre film e sette libri, compresa l'autobiografia appena uscita («È andata così Trent'anni come si deve», divisa con Massimo Cotto, per Mondadori), per non dire dei concerti.
«A mia discolpa dico che nei primi trent'anni ho fatto tutt'altro, quindi dovevo recuperare il tempo perduto».


E quello futuro? Ancora tanta roba in arrivo?
«No, voglio prendermi la vita giorno per giorno. E tornare a suonare appena possibile».


In questi secondi trent'anni mai avuto voglia di fermare il mondo e scendere?
«Sì, nel 1999 il successo mi stava facendo perdere. Mi sentivo frainteso, la gente si faceva un'idea di me che... non ero io. Andavo a comprare il quotidiano e il mio edicolante, che mi conosceva da sempre, diceva: Mica starai diventando troppo stronzo?».


E allora?
«Mi sono messo paura. Mi sembrava di aver già avuto tutto».


E invece?
«Ho avuto più paura di non salire sul palco».


Veniamo ai 7 inediti. Il primo singolo è «Volente o nolente», con Elisa.
«Che è anche il mio primo duetto di sempre, e risale alla prima volta che abbiamo fatto una cosa insieme con Elisa. Quindici anni fa la chiamai perché Gli ostacoli del cuore mi sembrava perfetta per lei. Le dissi: Sappi che sono permaloso, ma non tanto da non capire le ragioni degli altri, quindi non ti preoccupare. Così, per preparare una exit strategy, le feci registrare Volente o nolente. Attorno a quel demo e alla sua voce ho costruito il pezzo».


Suoni secchi, canzoni dirette, si sente il ritorno di Fabrizio Barbacci. Bella l'immagine suggerita da un titolo come «Mi ci pulisco il cuore».
«In un momento come questo mi sembrava bello, magari anche utile. Il meglio che possa dire delle mie canzoni è che sono state utili a qualcuno, hanno dato conforto. Oggi dobbiamo tenere botta, cercare di non prendere il virus, di non passarlo e allora...»


Come dice il testo: «Finché tiene il cuore/ ci vediamo in giro/ con le tue paure/ con le mie/ con le tue paure».
«Si: L'han chiamato vivere».


«Si dice che» è un elenco di stereotipi, una sarcastica tirata sul mondo al tempo dei tuttologi da social?
«Sì è la canzone che dice tutto e il suo contrario, ironica, forse anche amara. Come quando si parla della condanna ad essere prima ribelli e poi rassegnati. Io di rabbia ne covo ancora parecchia dentro, non mi rassegno. A questo brano tengo molto: è montato intorno al basso di Luciano Ghezzi, il mio bassista, scomparso poche settimane fa».


Tutto e il suo contrario tornano anche in «Essere umano»: un giorno chiodo e un giorno martello.
«Parto da una citazione biblica per trovare poi un ritornello scanzonato. Per una vita abbiamo cercato una terza via, qui tutto è bianco o nero».


E «Oggi ho perso le chiavi di casa»?
«In un periodo le perdevo davvero spesso, con disperazione di chi viveva con me e dei fabbri. Però, certo, quel brano è anche un'allegoria della nostra incertezza».


Campovolo, 19 gennaio 2021, sold out in prevendita da centomila persone.
«Sono come una pentola a pressione dettata dal risentimento di aver dovuto rimandare una festa meritata, da me e da chi aveva preso il biglietto. Quando sarà... sarà una liberazione da un'oppressione, sarà qualcosa che andrà oltre il concerto».


Intanto ti concederai qualche live in streaming?
«No, mi serve il pubblico: senza la gente non mi piacciono le partite e nemmeno i concerti».

© RIPRODUZIONE RISERVATA