Tra Dalla e Battisti spunta CantaNapoli

L’omino piccolo così avrebbe compiuto oggi 80 anni, domani il giovane Holden di Poggiobustone

Lucio Battisti e Lucio Dalla
Lucio Battisti e Lucio Dalla
di Federico Vacalebre
Venerdì 3 Marzo 2023, 23:45 - Ultimo agg. 4 Marzo, 08:00
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Lucio 1, da Bologna, che avrebbe compiuto 80 anni oggi e se n’è andato l’1 marzo 2012, è stato uno dei cantautori più musicali che l’Italia abbia avuto. L’uomo che mise in note il suo compleanno («4/3/1943») ha iniziato su versi straordinari di Roberto Roversi (il centenario del poeta, caduto il 23 gennaio scorso, è passato sotto silenzio) per poi farsi anche poeta e regalare alla melodia napoletana il suo ultimo classico, «Caruso», così antico da risultare modernissimo.

Lucio 2, il giovane Holden di Poggio Bustone, il fantasma del palcoscenico che avrebbe compiuto 80 anni domani e non c’è più dal 9 settembre 1998, è stato un cantautore dimidiato (le «sue» parole erano firmate prima da Mogol e poi da Panella), uno straordinario innovatore sonoro che iniettò il rhythm and blues, il prog, l’anima latina nell’estenuata ed estenuante musichetta italiana del suo tempo. Anche lui, anche se è una storia meno nota, ebbe a che fare con la lingua di Bovio e Di Giacomo.

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Dalla, lo sappiamo, amava Napoli persino più della sua Bologna: «Io non posso fare a meno, almeno due o tre volte al giorno, di sognare di essere qui», diceva. «Sono dodici anni che studio tre ore alla settimana il napoletano, perché se ci fosse una puntura da fare intramuscolo, con dentro il napoletano, tutto il napoletano, che costasse 200.000 euro io me la farei, per poter parlare e ragionare come ragionano loro da millenni».

Dalla, lo sappiamo, amava la canzone napoletana: «Un referendum ha scelto “Imagine” come miglior canzone di tutti i tempi. Ora, io dico, ma chi fa questi referendum ha mai sentito “Era de maggio” di Di Giacomo e Costa? La canzone perfetta, per testo e per melodia. La canzone più bella di sempre».

 


Lucio 1, napoletano ad honorem, è entrato nella storia di cantaNapoli con la sua «Caruso», portata in giro per il mondo da cento voci (da Pavarotti a Tom Robinson, leader punk del movimento omosessuale inglese, da Mercedes Sosa a Mina, da Mireille Mathieu a Ute Lemper). Era il 1986 - la storiella della sua nascita sorrentina la conosciamo tutti - quando ci ritrovammo di fronte a una romanza verace, nel nome del tenorissimo, con qualche nota - non troppe, per evitare problemi con la Siae - di «Te voglio bene assaje». Tenorissimo che l’omino piccolo così, e il suo complice Francesco De Gregori, già avevano scomodato ai tempi (1979) di «Banana republic» intonando «Addio mia bella Napoli», uno dei suoi cavalli di battaglia. Potenza della lirica, dove ogni dramma è un falso, Lucio 1 cantò ancora Caruso (e la propria leggenda, e la pizza, e Sophia Loren, e San Gennaro) anche in «Napule», ospite di Gigi D’Alessio con Gigi Finizio e Sal Da Vinci. E scrisse ancora in napoletano, nel 1996 («Nun parla’»; «Mmiez’a’strada i rumori, le voci, le moto, le luci dei bar, stattene ccà ccu’ mme») e nel 2009 («Fiuto», anche se i versi sono di Peppe Servillo e la voce del fratello Toni, per denunciare lo scandalo rifiuti: «Né governi o terremoti/ né ministri nè Borboni/ pienza si c’a fanno ‘sti coglioni/ ad ammazzare sta città»).

 


La storia partenopea di Lucio 2 è più laterale, ma ugualmente emblematica. Siamo ai suoi esordi, nel 1962, quanto entrò come chitarrista nel complesso dei Mattatori. Il primo ingaggio fu a Napoli, al Rosso e il Nero, sul lungomare. Solo quando la serata, vabbe’ diciamo nottata, volgeva al termine lui aveva il coraggio di prendere il microfono e cantare «Georgia on my mind» di Ray Charles. L’anno successivo passò ai Campioni di Roby Matano, si iscrisse all’Enpals con lo pseudonimo di Lucio Poiano, divise il palco al Rosso e il Nero con Pérez Prado, andò in tour in Germania e Olanda, si innamorò di Beatles e Dylan, iniziò a scrivere pezzi, a mettersi al microfono, ad immaginarsi cantante e cantautore. Ischia lo accolse, una bionda lo ispirò, pochi scommettevano su di lui. I giorni al Rosso e il Nero e a Ischia (anche con la band di Enrico Pianori) «napoletanizzarono» Lucio 2 molto di più di quanto finora si sia detto. Per lui «esistevano la melodia italiana e quella internazionale, rappresentata preminentemente dalla musica anglosassone», ricorda Mogol in Emozioni ischitane di Anna Maria Chiariello (Valentino, 2009). «Mi aveva fatto notare che le melodie, le musiche che scriveva, erano prevalentemente di origine napoletana. Allora io per scherzare gliele trasformavo in napoletano... Non era una tecnica di lavoro ma un gioco che ci confermava che la melodia italiana era di prevalenza napoletana».


Poi vennero gli hit che tutti cantiamo a memoria, poi venne la rivoluzione panelliana, poi il silenzio forzato, ma nemmeno la morte è riuscita a far tacere quelle canzoni che la signora Battisti, Grazia Letizia Veronese, voleva far sparire. Canzoni in cui Nietzsche e Marx si davano la mano, che parlavano al colto e all’inclita, sfioravano l’intimo in modo mai banale, azzardando soluzioni kitschissime quanto adorabili. Melodie napoletane, avrebbe detto Lucio 2, incidendo un provino in cui canticchiava «piscato’, piscato’, piscato’».
Nel giorno del noncompleanno di Lucio 1, alla vigilia del noncompleanno di Lucio 2, nessuno vuole ridurli al piccolo mondo antico di cantaNapoli, quando rendergli omaggio dalla trincea dove la canzone nacque come forma d’arte e intrattenimento, come democratico utensile quotidiano. Tu chiamale, se vuoi, emozioni, roba che scioglie il sangue dint’ ‘e ‘vvene, sai.
Ps. Nel 1984 Lucio 1 propose una collaborazione a Lucio 2, incontrato al ristorante, ma «lui ascoltava senza darmi importanza. Poi finì di mangiare, si pulì la bocca e disse che non si poteva fare, che si sentiva molto cambiato e che si stava muovendo in tutt’altra ricerca musicale».

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