Maldestro e Sansone, un «Adieu» per tornare in scena

Maldestro e Sansone, un «Adieu» per tornare in scena
di Federico Vacalebre
Giovedì 17 Giugno 2021, 13:11 - Ultimo agg. 21:53
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È vero, nel primo album «Non trovo le parole», del 2015, c'era «'Na fenesta», persino introdotto da una voce verace come quella di Peppe Barra. Ma il napoletano non è mai stato la lingua delle canzoni di Maldestro, cosa che rende ancor più speciale «Adieu», il suo nuovo singolo, in napoletano con qualche parola in francese, diviso con Dario Sansone dei Foja. Una ballad rock verace, dall'arrangiamento originale di Danjlo, autore anche del videoclip di accompagnamento.
I due, al lavoro insieme anche nel carosello newpolitano di «Passione live the next generation» atteso al debutto il 24 giugno al «Campania teatro festival», si dicevano da tempo di voler lavorare insieme, «ma non ci riuscivamo mai, ora per un impegno mio, ora per uno suo, ora per il lockdown. Stavolta c'era la canzone perfetta per noi», racconta Maldestro: «Ho scritto un pezzo, mi è venuto fuori in dialetto, che come insegna Troisi è sempre la lingua in cui penso, anche se poi non la uso nella mia scrittura». «Antonio mi ha chiamato e mi ha detto che aveva il brano per noi, così finalmente avremmo incrociato il microfono», rilancia Sansone, «dando un senso anche artistico alla nostra amicizia, che è una cosa seria».
Canzone d'amore, anzi di disamore obliqua come i Radiohead di «Kid A», «Adieu» sostiene che «L'ammore scassa o cazzo quanno vene e se ne fotte quanno se ne va»: «C'è troppa retorica intorno all'amore, lo si confonde con il cuore, con la monogamia, lo si considera vero solo se coronato da un matrimonio, o comunque dal fare coppia fissa. Ma può bastare del sano sesso, se fatto bene quello si che è amore, dà amore, ti fa ricevere amore», riflette il cantautore che con «Canzone per Federica» arrivò secondo tra i giovani del Sanremo 2017.
«Abituato a scrivere in napoletano con i Foja, ho dato qualche consiglio nell'uso del dialetto, Maldestro mi ha detto che sua madre non amava sentirlo cantare in napoletano, ma questa volta il pezzo le è piaciuto, lo ha promosso. Poi ho pensato ad un produttore che stimo da tempo, Danjlo, che potesse portarci fuori dalle sonorità dominanti a Napoli, che sapesse dare gusti e profondità nuove a un brano classico nella forma compositiva».
Inutile dire che «il pezzo è arrivato e non potevo tenermelo dentro», continua l'autore di «Egosistema», album uscito l'anno scorso, in piena pandemia: «Siamo tutti irrequieti, non cantiamo da troppi mesi, io, ad esempio, per tutto questo tempo non sono riuscito a scrivere niente, mentre le canzoni del mio disco restavano prigioniere là dentro. Per cui sono bastati tre giorni, avevo foja anche io, a mettere a punto il pezzo con la creatività di Dario e l'innesto di Danjlo. Sono passati sei anni dal mio ultimo pezzo in napoletano, questo non vuol dire che è un segnale, una svolta. Magari la prossima canto con... l'alfabeto dei segni».
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