Maneskin, il nuovo album Rush tra sesso, droga e r'n'r. Più un matrimonio

L'agendina della band è piena di impegni: il 5 febbraio sarà a Los Angeles per i Grammy e dopo, magari con la statuetta in mano, potrebbe presentarsi a Sanremo, prima di ripartire in tour

I Maneskin al gran completo
I Maneskin al gran completo
di Federico Vacalebre
Mercoledì 18 Gennaio 2023, 07:00 - Ultimo agg. 19 Gennaio, 09:40
5 Minuti di Lettura

Basso, chitarra, batteria e voce: i Måneskin, piacciano o meno, sono una macchina del tempo, la madeleine proustiana che ci permette di tornare nel liquido amniotico che ci ha cresciuti. Il quinto album del quartetto romano, «Rush!», in uscita venerdì in tutto il mondo dopo uno stillicidio di singoli di lancio («Mammamia», «Supermodel», «The Loneliest» e «Gossip»), rimette al centro dell'attualità sonica la colonna sonora del secolo scorso, del millennio scorso.

Difficile credere che il defunto rock possa risorgere per mano di questi quattro ribelli senza causa né pausa, eppure eccoci ascoltare con il massimo di concentrazione un disco rock (con qualche concessione al pop e all'elettronica) come non avveniva da eoni, scomodando lessico e artisti anch'essi ormai desueti. Di fronte a «Rush!» tre sono le possibili reazioni: due da boomer, una da millennial o da generazione Z. Chi ha l'età di Damiano David (24 anni), Victoria De Angelis (22), Thomas Raggi (21) ed Ethan Torchio (22), ma anche gli adolescenti, si confronterà con un suono che gli appare nuovo, fresco, adrenalinico, divertente, condito con provocazioni ormai inoffensive. Chi dal rock è stato svezzato ha di fronte due alternative divergenti: applaudire la band come una sorta di Lazzaro o condannarla al ruolo di plagiari fuori tempo massimo, di autoparodisti.

La fretta e l'urgenza richiamata sin dal titolo sono al centro della produzione firmata da Fabrizio Ferraguzzo e Max Martin alla ricerca di un sound scabroso e scarno, antico ma capace di reggere la postmodernità prossima ventura, vintage ma non archeologico.

A loro disposizione hanno la spigolosità acida della voce di Damiano, il basso-martello di Victoria, la chitarra di Thomas, la batteria urticante di Ethan. Non virtuosi ma credibili, spaziando tra i sottogeneri: glam rock, punk rock, crossover, inni da stadio, hard&heavy, ballad... ce n'è per quasi tutti i gusti retromodernisti.

La ricetta è quella antica, sesso, droga e rock and roll, ma il rock non è, e non può più essere, (contro)cultura, al massimo è uno stile, il rischio è che sia una posa o poco più, sia pur riuscita bene, come dimostra la fotogenia del gruppo.

Si comincia con «Own my mind», dove lei può essere «la risposta al peccatore che è in me», ma anche «il re e la regina», no gender please. A «Gossip», in fondo, Tom Morello serve poco: i ragazzi che iniziarono come busker in via del Corso non diventano dei combat rocker alla Rage Against the Machine, la chitarra barrisce senza stupire, il riff è essenziale ma azzeccato e poco più. La guest star non funziona più di tanto con loro, era già successo con l'Iggy Pop di «I wanna be your slave», una comparsata deluxe e poco più.

Il basso è forse lo strumento più in vista, detta la strada dei pezzo, ne anticipa le svolte, gli fa cambiare direzione. «Timezome» è una power ballad, un midtempo che si piazza da qualche parte tra i My Chemical Romance ed i Queen con spacconate da macho in calore, disposto a buttare all'aria fama e contratti per la bella di turno. «Bla bla bla», però, cambia l'ottica: «Io sono troppo ubriaco e non posso diventare duro», ringhia Damiano, chissà quanto memore del memorabile «Too drunk to fuck» dei Dead Kennedys di fronte a una tipa che ama la cocaina, ma non la ganja, mentre lui ascolta gli Smiths. «Baby said» ha un retrogusto funky e stavolta è lei a suggerire a lui di «parlare tra le mie gambe» invece di perdere tempo in conversazioni inutili. «Gasoline» è rock da stadio, anthemico, pronto ai cori, come poi anche «Read your diary». «Feel» rimette la cocaina sul tavolo, «Don't wanna sleep» sa di hard rock ma sembra citare i Beatles quando parla dei diamanti di tal Lucy. «Kool kids» gioca con le autodefinizioni: «Non siamo punk, non siamo pop, ma music freaks». E, poi, con perfida ironia: «I bravi ragazzi non usano droghe». Al tempo della vittoria dell'Eurovision i quattro rigettarono con sdegno l'accusa di aver sniffato, qui giocano con il fuoco, tra detto e non detto, palco e realtà.

«If not for you» rallenta il ritmo e rende omaggio a Kurt Cobain e Michael Jackson. I tre brani in italiano («Mark Chapman», che parte dall'assassino di John Lennon per parlare di fan-stalker, «La fine» e «Il dono della vita») faranno la felicità dei supporter nostrani, ma in America, le prime recensioni lo dimostrano, potrebbero essere vissute come «ghost track» e non sembrano destinate a far cantare nell'idioma di Dante come riuscì «Zitti e buoni». Poi arrivano i singoli che ben conosciamo e il disco si chiude. 

Video

I Måneskin si preparano a presentarlo domani a Roma, Palazzo Brancaccio, in un happening privatissimo targato Spotify, dove l'ex direttore creativo di Gucci, Alessandro Michele, celebrerà un matrimonio a quattro, qualsiasi cosa questa espressione possa significare.

L'agendina della band è piena di impegni: il 5 febbraio sarà a Los Angeles per i Grammy, candidata come miglior nuovo artista e dopo, magari con la statuetta in mano, potrebbe presentarsi a Sanremo, prima di ripartire in tour, il 23 febbraio dal palasport di Pesaro. A Napoli è attesa il 28 e 29 marzo al Palapartenope, naturalmente sold out. Poi verrà l'Europa e il gran finale all'Olimpico (20 e 21 luglio) e San Siro (24 e 25 luglio). 

© RIPRODUZIONE RISERVATA