Massimo Ranieri si racconta in un libro: «Luchino Visconti voleva diventassi Caruso per il cinema»

Massimo Ranieri si racconta in un libro: «Luchino Visconti voleva diventassi Caruso per il cinema»
di Antonella Forni
Mercoledì 1 Dicembre 2021, 12:00 - Ultimo agg. 3 Dicembre, 09:29
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Dicono voglia tornare, in gara, a Sanremo, magari per l'ennesimo derby con Gianni Morandi, roba da highlander più che da eterni ragazzi. Lui dice che, a 70 anni compiuti, ha una certa voglia di paternità, che rimanda a quando avrà smesso di cantare. Massimo Ranieri si racconta in Tutti i sogni ancora in volo, biografia dell'uomo battezzato come Giovanni Calone e dell'artista diventato Massimo Ranieri, passando per la breve stagione di Gianni Rock. Un libro in cui racconta i suoi mestieri (cantante, attore, regista), la vita privata ed intima, gli incontri, i successi, le occasioni mancate (un disco di canzoni napoletane arrangiato da Bernstein, un film su Caruso con la regia di Visconti). Restando, per sempre, lo scugnizzo partito dal Pallonetto per diventare uno degli artisti più completi, ed amati, che il fronte dello spettacolo italiano possa vantare. 

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Pubblico e privato

«Io ho sempre corso tanto, al limite dell'incoscienza e dell'affanno.

Per anni, per decenni. Una stanchezza che non vi dico. Ma tutto questo andare, questo viaggiare senza risparmiarmi, con l'ansia di imparare, di sperimentare, di realizzare un sogno e poi un altro e un altro ancora, mi ha nutrito. E ha tenuto accesa la fiammella della passione, per il lavoro e per la vita - che, per me, - sono praticamente la stessa cosa».

La famiglia

«In famiglia eravamo talmente tanti che mio nonno non mi conosceva».

La fame

«Dormivamo in dieci in una stanza, ci scaldavamo con i nostri stessi fiati». «L'unico motivo che mi portava tra le mura dell'istituto scolastico, senso del dovere a parte, era il panino con la cotognata che ci ammannivano a merenda. Mi disgustava, non la sopportavo, ma la mangiavo comunque perché era l'unico sostentamento. Se ci ripenso mi viene il voltastomaco».

Natale

«A Natale non riesco a godermi l'atmosfera di festa perché per me una festa non lo è mai stata. Le possibilità di ricevere un regalo erano talmente basse che non avevo nemmeno degli oggetti del desiderio: mi sarebbe piaciuto tutto. E così per compleanni e onomastici: non me li ricordo perché non li ho mai festeggiati».

Napoli

«Della mia città sono figlio, fratello, amico, sposo... Le sono riconoscente per l'amore, l'affetto, il sostegno. Lo sento proprio, l'orgoglio dei miei concittadini, per essere riuscito a portare la napoletanità fuori da Napoli, la canzone napoletana in tutto il mondo».

Il bisogno di cambiare

«Non voglio essere il più ricco del cimitero, come diceva Charles Aznavour: voglio fare cose nuove».

Mammà

«Mia madre, Giuseppina Amabile, era detta Peppa dai parenti e da noi la carabiniera, poiché conduceva la casa più con pugno di ferro che con guanto di velluto. C'era da capirla: si è dovuta arrangiare per tutta la vita, tirando su questa nidiata di bambini con il poco che aveva, e a volte senza nemmeno quello. Non dava carezze a nessuno».

Papà

«Mio padre ce la fece perché, nonostante le prove che la vita gli aveva messo davanti, continuava ad avere l'anima del sognatore. È a questa sua anima che devo tutto. Come mi piace dire: mia madre ha messo al mondo Giovanni Calone, ma è stato mio padre a far nascere Massimo Ranieri».

Il lavoro da bambino 

«Oggi posso dire con orgoglio che non mi fa paura quasi niente. Qualsiasi cosa succeda, so di essere pronto a lavare i piatti, a portare il caffè, a spazzare per terra... Ho attraversato una tempesta così forte che ogni volta che mi alzo e vedo che c'è il sole sono felice, come direbbe William Shakespeare».

I maestri 

«Il mio primo maestro fu un cantante dalla voce sottile eppure potentissima, l'immenso Sergio Bruni. A spedirmi al suo seguito negli Stati Uniti fu Nunzio Gallo, grande cantante napoletano, celebre nel momento in cui mi dibattevo tra i bar e le feste di piazza». «Peppino Patroni Griffi, Giorgio De Lullo e Romolo Valli, insieme agli altri della compagnia, con me sono stati meravigliosi. Sono rimasto con loro tre anni, tra i più belli della mia vita».

«Vent'anni» 

«Vent'anni mi emoziona sempre e dunque, pure se sono sfinito, esce bene lo stesso. Il primo amore, l'esuberanza della gioventù, l'euforia del diventare grandi, la sensazione di avere il mondo ai propri piedi, di poter fare qualunque cosa... Quel ragazzo, il germoglio ventenne la cui vita comincia come una poesia, ero io. Il testo era ritagliato su di me, come un vestito su misura».

Strehler 

«Maestro, perché ha chiamato me?. Perché io so che tu sei come noi» mi rispose. «Dietro la faccia da bravo ragazzo che canta Rose rosse anche tu sei un figlio di puttana come tutti quanti noi che facciamo teatro. Io lo so e voglio farlo sapere anche al pubblico».

Il teatro e la canzone

«Il teatro e lo spettacolo sono state le mie piattaforme di apprendimento, artistico ma anche esistenziale, emotivo. La canzone mi ha proiettato in alto, mostrandomi la luce cui potevo ambire; il teatro mi ha tenuto con i piedi per terra, accordandomi il privilegio di entrare a far parte di micro-mondi, micro-famiglie che condividevano tutto per mesi interi».

La danza

«Se dovessi rinascere vorrei fare il ballerino di tip-tap.... La danza mi piace da matti, perché riesce a far parlare i corpi. E i corpi sono capaci di toccare corde che alle voci sono spesso precluse».

«Perdere l'amore».

«Se Perdere l'amore non mi fosse capitata tra le mani, credo che non sarei mai tornato a cantare. Invece un pomeriggio, nel soggiorno di casa mia, quel pezzo meraviglioso mi ha chiamato e ho sentito che la mia strada doveva sdoppiarsi, non sarebbe passata più solo dalla recitazione».

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