Il mondo di Mika: «Io figlio dell'Europa, non la riconosco più»

Il mondo di Mika: «Io figlio dell'Europa, non la riconosco più»
di Mika
Giovedì 28 Novembre 2019, 07:27 - Ultimo agg. 19:19
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Con questo articolo inizia la collaborazione con Il Messaggero dell’artista, che tratterà di attualità, politica e società.

Mia madre è libanese, mio padre americano. In me convivono l'educazione anglosassone, ricevuta a scuola, e il temperamento libanese, molto più vicino a quello dell'Europa continentale.
La mia identità, un mix di culture, me la sono costruita come tutti i figli degli immigrati: attraverso il mio lavoro, in quel senso di comunità e appartenenza che si è creato fin dal principio durante i miei concerti in Europa. Mi sono sempre sentito europeo senza avere il passaporto europeo.

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L'IDEA
Essere europeo non è una condizione naturale: è un'idea. È un concetto di universalità. È la fiducia nel fatto che culture diverse possano connettersi, prosperare, progredire insieme a livello culturale, sociale ed economico. È una cosa in cui credo veramente. Ma in questo momento mi sento a disagio. La mia carriera è fiorita in Europa, ma la mia lingua è l'inglese, il mio stile molto anglosassone, e prima di avere casa negli Stati Uniti l'ho avuta in Gran Bretagna. Sento che l'Europa sta attraversando un momento di grande crisi, e ora più che mai penso che sia indispensabile difendere i veri principi che la rappresentano e ricordarli alle persone. Ho l'impressione che abbiamo dimenticato perché l'Europa esista. E questa ignoranza, questa diffidenza che cresce e si diffonde ci rende vittime perfette per qualsiasi manipolazione politica. Le nazioni si dividono, crescono i conflitti. È una soglia pericolosissima. Se potessi votare a dicembre sulla Brexit, voterei naturalmente per rimanere in Europa. Rischiamo un taglio netto, una mutilazione le cui conseguenze peseranno anche sulla Gran Bretagna. Le persone che soffriranno di più per un'eventuale uscita dall'Europa saranno quelle che hanno bisogno più di tutti del supporto dell'Europa. Chi contribuirà alle spese di una piccola palestra in un villaggio della provincia gallese? Chi foraggerà il centro per il supporto all'adolescenza di una città come Doncaster? Sono due esempi di attività finanziate dall'Unione Europea.

 
 


LA SCORCIATOIA
Tante iniziative saranno a rischio chiusura. È un pensiero che mi deprime. I politici stanno usando i referendum come se fossero un'arma o una scorciatoia per il potere, e non c'è niente di più sbagliato. Dovrebbero fare moltissima attenzione a servirsi di quello strumento, soprattutto se lo fanno guidati dal proprio ego e dal desiderio di primeggiare: non c'è niente di più pericoloso di un popolo che si accorga di essere stato manipolato. Non dico che il referendum non sia uno strumento democratico, ma dobbiamo sempre considerare il contesto nel quale quel referendum è stato lanciato. I politici hanno agito onestamente? O hanno cavalcato motivazioni e sentimenti diversi dal tema per cui si votava? Ci sono state influenze di altri Paesi? Qual è il grado di istruzione delle persone che hanno votato? A volte mi sembra di vivere in un episodio di House of Cards.

IL CAVALLO DI TROIA
Eppure mi rifiuto di considerare la Brexit come un virus e la Gran Bretagna come la grande colpevole della crisi europea. La Brexit non è la causa della crisi: se la Gran Bretagna rimanesse in Europa, la crisi non cesserebbe di esistere. E se la Gran Bretagna dovesse staccarsi, l'Europa dovrebbe continuare a fare i conti con la crisi e cercare di sopravvivere. Bisogna considerare che Il Regno Unito è sempre stato scettico verso l'euro e l'Unione Europea, non è una novità. Ma non dimentichiamoci che fu Charles De Gaulle a rifiutare più volte l'ingresso della Gran Bretagna nella CEE, ritenendola un Paese dall'anima commerciale con interessi lontani da quelli delle altre nazioni. Temeva che la Gran Bretagna potesse diventare il cavallo di Troia degli Stati Uniti in Europa: oggi sappiamo che De Gaulle non aveva ragione. Ma la diffidenza tra le parti c'è sempre stata. E non fatico a comprendere le ragioni di chi si senta respinto dalla fredda burocrazia di Bruxelles. Eppure, e lo dico da osservatore perché certo non sono un politico, non penso che in questo momento sia salutare polarizzare, né generalizzare. Quello di cui dobbiamo veramente occuparci è il miglioramento del senso di coesione all'interno dell'Europa. Senz'altro in Gran Bretagna il referendum della Brexit è stato gestito veramente male dal nostro ex primo ministro, David Cameron, ma anche l'opposizione è stata pessima. Ora non abbiamo bisogno di un governo totalmente conservatore o totalmente di sinistra: ci servirebbe qualcuno che ragioni sulle sfide che vivremo in Europa nei prossimi dieci o vent'anni, in un momento in cui il mondo cambia a velocità spaventosa. Penso alla questione ambientale, un problema che cresce e cambia la geografia anche politica del mondo, ridistribuendo poteri e ricchezze. La Cina ha cominciato quindici anni fa a occuparsi dell'Africa e delle sue risorse, noi siamo indietro.

I TEMI
Ci serve qualcuno che capisca l'urgenza dei più grandi temi contemporanei.
I giovani al voto ci chiedono un ricambio generazionale, perché non si identificano con la leadership attuale. Ma allo stesso tempo sanno che la macchina politica laburista non è in gran forma. Hanno paura, e credo che il risultato finale del voto ci sorprenderà. Viviamo un incredibile momento di suspance, con un'unica certezza: la politica divisionista basata sull'odio è una perdita di tempo. Non solo non è in linea con il ventunesimo secolo, ma è la ricetta per assicurarsi un futuro disastroso.

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