Lutto nella canzone d'autore: è morto ​Claudio Lolli, il cantore degli zingari felici

Lutto nella canzone d'autore: è morto Claudio Lolli, il cantore degli zingari felici
di Federico Vacalebre
Venerdì 17 Agosto 2018, 20:54 - Ultimo agg. 18 Agosto, 15:28
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Finalmente aveva vinto il Premio Tenco, «Il grande freddo» era stato scelto come miglior disco del 2017, non gli era mai successo negli anni d'oro, quando la concorrenza cantautorale era più agguerrita. Ma stava male, non era andato all'Ariston a rititare il riconoscimento, al suo posto si erano presentati, smarriti, i suoi fidi musicisti. E ieri Claudio Lolli se n'è andato a 68 anni, senza clamori, nel dolore di chi gli è stato vicino sino alla fine.

Nella stagione d'oro dei cantautori italiani il professore, nato a Bologna il 28 marzo 1950, aveva fatto prepotente irruzione sin dall'lp d'esordio, del 1972, portato alla Emi da Francesco Guccini: era amico di suo fratello Piero, si era fatto notare all'Osteria delle Dame: «Aspettando Godot» è un manifesto generazionale («Quelli come noi»), sentimentale («Michel», storia di un amicizia iniziata in pantaloni corti) e politico. «Borghesia» dà voce alla sua rivolta personale, familiare, sociale: «Vecchia piccola borghesia per piccina che tu sia, non so dire se fai più rabbia, pena, schifo o malinconia. Sei contenta se un ladro muore o se si arresta una puttana, se la parrocchia del Sacro Cuore acquista una nuova campana».

Immaturo, ingenuo, ma profondo e dolente, figlio del tempo con aderenza spietata, il disco viene notato da «Per voi giovani», e prepara la strada a quello dell'anno successivo, dal titolo lunghissimo, «Un uomo in crisi. Canzoni di morte. Canzoni di vita», che conferma la scelta militante in brani come «Quello lì (compagno Gramsci)», dove si racconta il leader comunista ancora studente e con gli occhi di un vicino di casa, «Morire di leva», «Hai mai visto una città», trovando momenti meno collettivi e più personali in «La guerra è finita» e «Un uomo in crisi». Concentrato sulle parole delle sue canzoni, Lolli concede poco agli arrangiamenti delle sue ballate, affidandosi spesso al fingerpicking, ma nel 1975 la produzione di Ettore De Carolis movimenta gli arrangiamenti di «Canzoni di rabbia»: rabbia anticlericale («Prima comunione»), antimilitarista («Al milite ignoto»), contro il sistema carcerario («Dalle capre»). Il successo arriva l'anno dopo con «Ho visto anche degli zingari felici»: le nascenti radio libere si impossessano del disco, imperniato sulla strage dell'Italicus e la sua ripercussione nella sinistra, nelle sinistre, avremmo imparato poi a dire. La canzone che dà il titolo al lavoro - a sua volta citazione di un film jugoslavo del 1967 - rielabora la «Cantata del fantoccio lusitano» di Peter Weiss. L'influenza del Collettivo Autonomo di Musicisti di Bologna porta all'innesto di sonorità jazz e progressive: «Agosto», «Piazza bella piazza» («di Leone avrei fatto senza» cantò mezza Italia a pugno chiuso pensando all'allora presidente della Repubblica), ma anche «Anna di Francia» (con un attacco a Luigi Nono) e «Albana per Togliatti» sono ritratti di una nazione che si credeva alla vigilia della rivoluzione. «Riprendiamoci la terra, la luna e l'abbondanza», canta Claudio alla vigilia del '77, lanciando un seme che non vedrà sbocciare il sole dell'avvenire, ma non cadrà nel dimenticatoio, riletto nel suo disco dal vivo del 2003 con il Parto delle Nuvole Pesanti e poi dalle «Musiche ribelli» di Luca Carboni, che nel 2009 presenta Lolli a una generazione che non l'aveva mai ascoltato, se non grazie a qualche genitore.

Il '77, nel senso di anno e di movimento, arriva con «Disoccupate le strade dai sogni», in cui si rispecchia la Bologna ribelle che contestò Lama, la fantasia degli indiani metropolitani, il sogno che diventerà incubo negli anni (di piombo) a venire. «Socialdemocrazia» è il brano chiave, il nemico non è poi sempre e solo a destra, a volte è molto più vicino, anzi «marcia alla tua testa». Musicalmente sempre più complesso, pubblicato dall'Ultima Spiaggia, etichetta alternativa dedicata a durare poco, l'lp divide i fans del cantautore e paga la distrazione provocata negli ascoltatori dall'arrivo di suoni fisici e altrimenti eversivi: il punk e la disco.

Inizia un periodo di transizione che mette Lolli nei panni del cantautore demodè, troppo politico per la stagione del riflusso, troppo colto e a suo modo «classico» per l'urgenza new wave: «Extranei» e «Antipatici antipodi» con copertina di Andrea Pazienza e un pezzo dedicato alla morte di «Villeneuve», non lasciano troppo segno, nonostante contengano canzoni di spessore. Claudio preferisce insegnare al liceo, senza mettere da parte la chitarra, magari affidando «Keaton» a Guccini o «Segreteria telefonica» agli Stadio, ma posizionandosi ai margini di un'industria discografica in cui non è mai stato a suo agio, magari preferendo scrivere romanzi o racconti fedeli al suo stile introspettivo, al suo spleen malinconico. Gli anni Novanta lo rimettono al centro di una scena cantautorale non più così importante nell'immaginario collettivo, grazie a album come «Nove pezzi facili», «Intermittenze del cuore» e «Viaggio in Italia» (prodotto da Mimmo Locasciulli) e al ritorno dal vivo, accompagnato dalle fide chitarre di Paolo Capodacqua. Ma non ha messo da parte l'impegno, nel 2000 arriva l'orgoglio brechtiano di chi ha scelto di mettersi «Dalla parte del torto», con una perla come «Nessun uomo è un uomo qualunque» e «Borghesia» riletta con i Gang. Di riletture si occupa anche «Love songs» che sottolinea il canzoniere sentimentale di Lolli, che l'anno scorso con «Il grande freddo» è tornato al grande affresco generazionale, questa volta di una generazione di reduci, che però non si arrende: «Un grande mondo sicuramente non bello, fatto di briciole dei nostri cuori. Un grande freddo che si può sciogliere solo con le lacrime dei nostri amori. E quanto amore si lascia fuori dagli autobus. Guarda le cicche, le sigarette portate via da questa pioggia insistente, buttate via da queste vite distratte. Io ho lo sguardo perduto e le costole rotte», scrisse per dire ancora una volta, e nonostante tutto, che il personale era politico. 

Ciao, Claudio ciao, e grazie per averci portato a vedere «degli zingari felici in piazza Maggiore a ubriacarsi di luna,di vendetta e di guerra».

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