Il ritorno dei Negramaro: «Prima restiamo in piedi, poi ritroviamo il contatto»

Il ritorno dei Negramaro: «Prima restiamo in piedi, poi ritroviamo il contatto»
di Federico Vacalebre
Venerdì 13 Novembre 2020, 09:12 - Ultimo agg. 14 Novembre, 15:27
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La prima notizia che arriva dai primi ascolti di «Contatto» è che Giuliano Sangiorgi ha messo (quasi) via il falsetto, trovando una (quasi) nuova voce. La seconda, e qui la definizione è dello stesso leader dei Negramaro, è che si tratta di uno «stand album», di un disco resiliente, di un invito a restare in piedi, a tener duro, a mandar via l'inverno del nostro scontento e questo maledetto virus. La terza è che i testi sono più ispirati delle musiche, che però hanno il giusto ritmo per sperare di aiutarci a sopravvivere a questi tempi di clausura coatta, guardando al dancefloor anni Novanta, all'elettronica, ai primi vagiti del suono che oggi chiamiamo urban.

Siamo al decimo album, Giuliano. E ci manca il «Contatto»: degli stadi, delle cantine degli esordi, degli abbracci?
«Qualsiasi contatto.

Ma il pezzo che dà il titolo al disco nasce prima dell'orrido periodo che stiamo vivendo, e solo a cosa quasi fatte abbiamo capito che era il centro intorno a cui girava tutto. Il contatto che ci mancava quando, un anno e mezzo fa abbiamo iniziato a lavorare al disco, era quello fisico cancellato dalla virtualità dei social network. Poi il contatto, in ogni sua forma, è diventato il sogno di ogni umano sul pianeta terra, nascosto dietro una mascherina e la paura del virus. A quel punto il titolo si è scelto da solo».

Un brano, però, è stato composto in lockdown.
«È vero: La terra di nessuno è nato mentre, come tutti, guardavo il mondo dalla finestra di casa, immaginando che la terra di nessuno possa diventare la terra di tutti».

Dentro c'è un esplicito omaggio a Lucio Dalla, compresa la citazione del suo inimitabile scat: «Incontriamoci laddove nasce quel vento/ e riempiamolo di Dalla e di un suo canto/ a chi arriverà soffiando il suo responso/ capirà che il mondo è meglio con Anna e Marco».
«È l'omaggio a un maestro, a una canzone-capolavoro, a due personaggi che mi piacerebbe fossero gli Adamo ed Eva chiamati a ripopolare il pianeta che stiamo distruggendo, portatori sani di diversità, storie di periferia, sogni di cambiare il mondo, o almeno attraversarlo, senza accettarlo per com'è».

Visto che siamo in tema di modelli, ci sono altri echi nel disco: il salmodiare di Battiato e Ferretti, il solito Modugno, un evidente omaggio morriconiano.
«Mimmo è Mimmo, Mimmo è casa, Battiato certo e... Giovanni Lindo Ferretti? Devo a mio fratello se quando ero ancora un bambino invece di Ufo Robot, vabbè insieme con Ufo Robot, cantavo i brani dei Cccp».

La morriconianità della reprise finale di «Dalle mie parti» la spiega Andro, alias il tastierista Andrea Mariani, che ha prodotto il lavoro: «Abbiamo registrato gli archi, arrangiati da Stefano Nanni nello studio del maestro, il Forum Village di Roma, con la sua orchestra. Morricone era ancora vivo, noi chiedevamo a chiunque fosse possibile storie su di lui e pensavamo ai film di Sergio Leone... Poi...».

Giù la testa, insomma. Ma torniamo indietro: «Contatto» viene dopo l'annus horribilis 2018, l'emorraggia cerebrale di Lele Spedicato, un tour difficilissimo come la ripresa. Ora c'è il piacere di rivedervi tutti e sei qui, sia pur via Zoom: i già nominati Giuliano, Lele e Andro, poi Ermanno Carlà, Andrea «Pupillo» De Rocco e Danilo Tasco.

«Dovevamo andare avanti e non fermarci, lo sapevamo, dovevamo aspettare Lele e la sua chitarra sul palco, il suo posto. Se ce l'abbiamo fatta è stato merito suo. Sono stati mesi logoranti, dolorosi, quando è tornato gli ho detto: Grazie per non averci cambiato la vita. Senza Lele non staremmo ancora qui, anzi...».

Anzi cosa? C'è stata aria di scioglimento?
«Furono tempi così duri che dissi a Ilaria, la mia compagna, Prepara tutto, torniamo a Lecce. Senza Lele mi fermo qui. Gli altri non so come la pensassero, ma io alla fine del tour ebbi un crollo psicologico che scambiai per una malattia grave. Fu Ilaria a salvarmi: Esci, anche con la febbre, e vai a fare quello che devi fare».

Ci andasti?
«Sì, due passi per arrivare sino allo studio e scrissi Noi resteremo in piedi».

Il primo pezzo, uno dei migliori del disco: un inno resistente?
«Sì, oggi suona così, ma era il mio vaffanculo al mondo, la mia resistenza personale. Le canzoni nascono da situazioni di merda come quella che stavo vivendo».

«Devi solo ballare» è dedicata a tu figlia Stella, nata sempre in quel 2018, che poi di cose belle ne portava.
«È un modo per invitarla a gioire, non è una benda davanti gli occhi, ma un invito a vivere con felicità, a preoccuparci ci pensiamo sua madre ed io».

La luna qui è una palla stroboscopica e il ritmo è inevitabilmente danzereccio, come una bella fetta del disco.
«Il pop è un eterno ritorno: l'indie ricicla i cantautori anni Ottanta, noi qui guardiamo agli anni 90, alla prima cultura hip hop».

Il duetto con Madame, trapstar diciottenne in «Non è vero niente»?
«Ha scritto la sua parte in studio, aveva ancora 17 anni, la accompagnava mamma Nadia, ma aveva la maturità di una persona di 182 anni. Lasciamo il mondo ai ragazzi, lo salveranno dal disastro a cui l'abbiamo condotto noi adulti, noi quarantenni che giochiamo a fare gli eterni giovani».

Un disco dalla parte dei ragazzi, ecologista («Mandiamo via l'inverno»), antirazzista (le voci dei militanti di Black Live Matters in «Noi resteremo in piedi»), al fianco dei migranti («Dalle mie parti»), solidale, combattente. Facciamo il nome dei nemici?
«Basta con i post, le guerre dei post, le battaglie mediatiche intorno a un tweet. Io dico quello che penso con una canzone e... chi la pensa diversamente ne scriva una diversa. L'unico post possibile per noi è questo Contatto».

L'altra sera i Negramaro hanno regalato ai fan un live in streaming, in un cubo 3-D studiato per dare vita a un evento virtuale, nel tentativo di arginare la nostalgia dei concerti reali, aspettando la prossima estate, quando, pandemia permettendo, dovrebbe maturare un tour negli stadi e un concertone al Circo Massimo di Roma per festeggiare il ventennale della band: «È vero, scadono i vent'anni dalla prima cantina in cui ci siamo ritrovati per suonare, quella del papà di Ermanno, delle botti di vino Negroamaro, e che tutti insieme riconvertimmo in sala prove. Nel 2023, invece, sarà il ventennale del primo album», conclude Giuliano.

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