In un libro la love story mancata tra Nico e Peppino Di Capri

Nico
Nico
di Federico Vacalebre
Domenica 17 Febbraio 2019, 17:29 - Ultimo agg. 20 Febbraio, 09:13
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Non gli avranno dato il premio alla carriera a Sanremo - ma sono sempre in tempo a rimediare con il prossimo Festival, magari con una cerimonia meno rachitica di quella riservata alla memoria di Pino Daniele - ma il medagliere di Peppino Di Capri non ne risentirà più di tanto, come conferma Peppino Di Capri e i suoi Rockers (Graus, pagine 137, euro 15): nel libro Gianmarco Cilento racconta il primo periodo dell’avventura del Buddy Holly de noantri, del signore del twist, del Chubby Checker isolano, del primo diffusore dello ska in Italia, del figlioccio di Renato Carosone nel rinnovamento della canzone napoletana, del papà di Pino Daniele nella geneaologia degli americani di Partenope. Con stile non sempre fluido, il libro racconta, dopo la prefazione di Mimmo Di Francia, il debutto, l’ascesa, l’apoteosi e la prima crisi di Giuseppe Faiella, lasciando a un futuro secondo volume la svolta melodica e i nuovi trionfi.

Tra Mina e i Beatles, tra successi americani da copiare e melodie veraci da rilanciare, Ciliento ricostruisce una carriera straordinaria quasi giorno dopo giorno, disco dopo disco, night dopo night, musicarello dopo musicarello, con filologia impressionante. E, a pagina 17 rivela un gossip inedito, che oltre che per i fans peppiniani, sarà ghiotto anche, se non soprattutto, per i rockettari più incalliti: «Probabilmente l’ammiratrice più singolare di questo periodo di gavetta resta una diciottenne tedesca in vacanza nell’isola: Christa Paffgen», sì proprio lei, Nico, la «moongoddes», la chanteuse dei Velvet Underground tra Lou Reed e John Cale, amata da Jim Morrison e Alain Delon (da cui ebbe un figlio, Ari), Iggy Pop e Bob Dylan, Brian Jones e Jimi Hendrix, un giovanissimo Jackson Browne e un mai corrisposto Leonard Cohen.

Per Andy Warhol «era la più bella creatura della terra», Federico Fellini appena la vide la volle nella scena dell’orgia di «La dolce vita», sul cui set folgorò anche Mastroianni. Dopo l’unico album, quello con la banana in copertina, con la band che più influenzato la storia del rock meno mainstream, Nico è diventata la sacerdotessa gotica del canto oscuro, ispiratrice di ogni dark queen possibile, da Siouxsie in poi. Recentemente immortalata al cinema da un biopic di Susanna Nicchiarelli, disinvolta, disinibita, ex modella diventata musicista, ossianica suonatrice d’harmoniu, voce che confessava di aver vissuto, per anni nel tunnel delle droghe pesanti, morta nel 1988 a Ibiza, dove stava disintossicandosi, per una caduta da bicicletta: proprio lei si innamorò di Di Capri?

«Sì, era più grande di me di un anno, lei era del ‘38, io del ‘39 e veniva ogni sera a vedermi al Number Two, la mia tana caprese», conferma Peppino: «Diciottenne già mondanissima, capelli lunghi con frangetta, curve mozzafiato, fascino mitteleuropeo, siedeva sotto il mio pianoforte e beveva whisky e soda. Poi la mattina dopo mi mandava un mazzo di rose bianche e mia madre mi sgridava, aveva paura che mi portasse sulla cattiva strada». Ma Peppe era minorenne e ingenuo, fu il suo batterista a spiegargli: «Quella ti vuole fare». Ed eccoli insieme «sulla strada che porta a Marina Piccola, lei spericolata che camminava sul muretto, io imbranato che non sapevo cosa fare. Sulla spiaggia ci nascondemmo sotto una barca: le chiesi di togliersi la maglietta, lei volle che facessi altrettanto anche io, il suo seno era bellissimo e poi... spuntò il sole, arrivarono i primi pescatori e i primi bagnanti... non se ne fece niente».

L’indomani la bellezza tedesca sparì, forse partì, e Di Capri non la vide mai più, «anzi una volta sola, anni dopo, al Monkey Bar di Ischia, era con Alain Delon, feci finta di non conoscerla, ma chissà se si ricordava ancora di quel ragazzino con gli occhiali che le piaceva tanto».
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