Nino D'Angelo: «Un tour per tornare ai miei anni Ottanta»

Nino D'Angelo ieri e oggi
Nino D'Angelo ieri e oggi
di Federico Vacalebre
Domenica 25 Maggio 2014, 21:14 - Ultimo agg. 26 Maggio, 08:15
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All’entrata del Palapartenope, che in qualche modo oltre che contenitore partenopeo dello show stato anche motore dell’idea iniziale, un manifesto gigante annuncia per l’1 novembre: Nino D’Angelo, concerto anni ’80 e non solo. Nelle prevendite on line i biglietti gi vanno a ruba, e non solo per la data napoletana, anche per quelle dell’8 novembre a Roma, Auditorium della Conciliazione; del 14 a Torino, teatro Colosseo; del giorno dopo a Milano, Gran Teatro Linear4Ciak. Le immagini del poster, come quelle usate sulle pagine dei social network dell’uomo senza giacca e cravatta non lasciano dubbi, titillando i sogni di chi - e sono tanti - al cantore sociale di oggi preferisce l’ex idolo verace con il caschetto. «È un concerto, non uno spettacolo teatrale, voglio cantare le canzoni di allora, cercando di reimpararne per quanto possibile gli arrangiamenti originali, però con il fisico e la consapevolezza di oggi», spiega Nino



Come a dire che non ci sarà la parruca-madeleine proustiana?

«No, il dialogo tra un impegnato e il padrino dei neomelodici, tra il cantante di ”Capellone” e quello di ”Annamaria” l’ho già messo in scena a teatro, in ”C’era una volta un jeans e una maglietta”. Questa è una tournée pop, oggi gli anni Ottanta sono di gran moda, io all’epoca ero amatissimo al Sud, da un certo Sud, ed amatissimo anche al Nord, dagli emigrati del Meridione. Oggi, che ho convinto a seguirmi anche qualcuno che allora mi detestava anzi mi snobbava, vorrei rimettere in primo piano le mie radici, il mio popolo. Con tanto di tastiere Dx7, il primo modello di tastiera digitale Yamaha, e di batterie elettroniche antesignane. Se vuoi far tornare a galla un’emozione non la devi rileggere, la puoi solo evocare nella maniera più semplice possibile».

Dal San Carlo, con De Simone & Paladino, a ”Popcorn e patatine”: la vendetta dell’ignorante intelligente, come da definizione autobiografica?

«Nessuna vendetta, al massimo la constatazione delle diverse età di un mestiere di artista: all’epoca ero un’icona per una certa gioventù, oggi provo a riflettere sui miei tempi e la mia gente, ma senza sentirmi altro che un tramite emotivo».

Il ritorno ai propri classici/successi, agli «oldies but goldies» è sentito da molti, tra ritorno al futuro, mode vintage, mancanza di creatività, periodi di transizione... C’è nell’aria molta voglia di antico, di eterno revival, dalle cover band di Genesis e Dire Straits che entrano nei teatri al progetto «Nero a metà» sinfonico di Pino Daniele alla Teresa De Sio che annuncia un’edizione «reloaded» di «Voglia ’e turna’» per il Ravello Festival.

«Anche la canzone ha i suoi corsi e ricorsi storici, forse, ma credo che il discorso sia doppio, anzi triplo. Per me la molla di tutto, insieme alle richieste dello zoccolo duro e nostalgico dei miei fans, è stato il ritrovare un filmato di un mio concerto anni Ottanta al Palapartenope, con l’assedio nei camerini, i carabinieri che mi scortavano, Enzo Berri, Pino Moris... In tour userò quelle immagini come un grimaldello, una macchina del tempo, preziosa per chi c’era e chi non c’era. Questa è la mia motivazione, poi ci sono discorsi più collettivi: c’è la voglia, appunto, di tornare a periodi più ingenui, eppure più ricchi di speranza. Nonostante gli anni di piombo, il terrorismo, l’austerità, gli opposti estremismi, le stragi di stato, il malgoverno democristiano... gli italiani erano capaci di sorridere, di impazzire per una maggiorata, di dividere il loro sentire e le loro ideologie con un cantautore impegnato, di far rappresentare i loro sentimenti da uno scugnizzo con il caschetto. Poi c’è il bisogno di ognuno di noi, compresi Pino e Teresa che sono artisti straordinari e non hanno certo problemi di ispirazione, di ragionare sul proprio passato e di non essere costretti per sempre nel meccanismo produttivo disco-promozione-tour-disco... La musica sta cambiando e, per noi che ne abbiamo già fatta tanta, offre possibilità diverse».



A che punto è il progetto del documentario diretto da Maurizio Sciarra?

«Ne ero entusiasta, poi qualcosa mi ha fatto riflettere. Mi sono raccontato così tante volte in scena e sulla carta che se lascio che qualcuno mi racconti in un docufilm dobbiamo essere capaci di dire qualcosa di nuovo. Non importa quanto tempo ci vorrà».



Altri progetti?

«No, altre consapevolezze, però, sì: mi voglio divertire. L’ho fatto, nonostante i mille bastoni tra le ruote avuti, al San Carlo con De Simone, lo farò con gli anni Ottanta. E lo potrei fare in un disco di classici napoletani riletti con la leggerezza e la poesia di un Caetano Veloso, ad esempio».





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