Dylan non ritira il Nobel: è rimasto
se stesso contro il conformismo

Dylan non ritira il Nobel: è rimasto se stesso contro il conformismo
di ​Federico Vacalebre
Giovedì 17 Novembre 2016, 09:44 - Ultimo agg. 18:10
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Dimenticate il morettiano «mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?». Bob Dylan lo si nota comunque, non ha bisogno di un Nobel per far parlare di sè, per vendere dischi, per continuare nel suo «neverending tour» con cui si sta massacrando alla veneranda età di 75 anni. Il Nobel che non andrà a ritirare per non meglio specificati «altri impegni pregressi» arriva dopo Oscar, Pulitzer, Grammy e tanto altro. Quando Obama gli concesse e mise al collo la massima onorificenza americana, la Presidential Medal of Freedom, grugnì «grazie», diede una pacca sulla spalla al presidente e andò via.

Ai cronisti non di rito dylaniano dylaniato l'allora leader del mondo occidentale spiegò: «Ha fatto Dylan, che cosa altro aspettarsi da lui?». Sua Bobbità non ha rifiutato il Nobel, anzi si è detto «onorato» e «sorpreso» del riconoscimento. Solo che la sera del 10 dicembre non sarà a Stoccolma dal re di Svezia, ha altro da fare. Che cosa? Dove? Con chi? E sarà poi vero? O è una scusa? E, ancora, entro i sei mesi farà la sua Nobel lecture, sorta di lectio magistralis, unico obbligo per non perdere il titolo? E, nel caso, dove la terrà, di che cosa parlerà, sarà armato di chitarra?

a risposta, naturalmente, soffia nel vento, perché negli anni il rocker di «Like a rolling stone» ha aggiunto ai suoi capolavori canori un'altra perla, la sua vita stessa, il più sorprendente e contraddittorio, e per questo fedele alla propria unicità, dei romanzi possibili. Sul palco per almeno cento sere l'anno, Dylan è l'anti-Elena Ferrante, tutti sanno chi è, ma nessuno lo conosce davvero, forse nemmeno lui sa ancora chi è, chi sarà, magari anche dove andrà il 10 dicembre. O perché si è sottratto alla cerimonia: l'abito buono lo ha, l'ha già sfoggiato.

Nella ridda dei populismi dilaganti, nell'era del silicio e del silicone, nel mondo virtuale dove un post con milioni di like conta più di una strage di migranti, il suo sparigliare pallido e assorto è manna dal cielo. È una piccola pagina non prevista (un rifiuto ci poteva anche stare, visto il suo passato militante, ma un «ho altro da fare»...) nel conformismo dilagante. È una pausa nell'inarrestabile processo di mutazione in pompieri degli ex incendiari. L'uomo che violenta le sue canzoni fino a renderle incomprensibili può bene violentarsi negandosi il piacere del massimo premio.

Oggi Dylan è un aedo più sinatriano che omerico, eppure sa fare della sua esistenza pagina e avventura capace di cambiare strada ogni volta possibile. Per entrare in uno spot di Victoria Secret, per esibirsi di fronte a un papa polacco e, magari, per farsi applaudire da noi il 2 maggio prossimo, al San Carlo o all'Anfiteatro romano di Pompei. Sempre che anche quella sera non abbia altro da fare.
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