Paolo Conte alla Scala di Milano, un (in)cantautore sotto le stelle dell'opera

In platea anche Paolo Sorrentino e i sottosegretari Gianmarco Mazzi e Vittorio Sgarbi

Paolo Conte al pianoforte
Paolo Conte al pianoforte
di Federico Vacalebre
Lunedì 20 Febbraio 2023, 07:00 - Ultimo agg. 21 Febbraio, 07:21
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Sotto le stelle dell'opera trionfa il Conte della canzone d'autore. Restano fuori dalla Scala le polemiche del paese per vecchi che avrebbe negato il teatro a un classico del Novecento europeo quale ormai è il cantautore astigiano, che intanto pigia sui tasti bianchi e neri, regalando smorfie sempre più affaticate, che l'età (86 anni) c'è e si vede, ma non si sente, o quasi, in una serata speciale che ricorda quella del 3 dicembre 2019 al San Carlo: Napoli lo accolse a braccia aperte anche in conservatorio, non alzò alcun can can sui generi della musica e la presunta nobiltà (teatrale) ferita. Come ricorda Guccini: bisogna saper scegliere in tempo, non arrivarci per contrarietà. «Io sono per chi abbatte i muri, non per chi li costruisce», taglia corto il sovrintendente Dominique Meyer, accusato da più parti.

«Aguaplano» apre il concerto, in qualche modo rispondendo alla querelle di casta nell'unico modo possibile: con la musica, parole e musica: «È proprio un pianoforte da concerto... /Un pianoforte a coda lunga, nero.../ E dove c'è un piano/ intorno c'è sempre gente che fa baccano/ ci sono occhi che si cercano/ ci sono labbra che si guardano».

Accolti da Caterina Caselli sono a spellarsi le mani anche Paolo Sorrentino («Ha inventato un mondo») con la moglie Daniela D'Antonio, Vinicio Capossela, Biagio Antonacci («Una serata inclusiva»), Giuliano Sangiorgi, Madame, i sottosegretari Gianmarco Mazzi e Vittorio Sgarbi («È un errore rendere inaccessibile questo teatro, adesso ben vengano Vanoni e Celentano»), Caterina Balivo e Guido Brera, Motta e Carolina Crescentini, Maurizio Cattelan... 

«Sotto le stelle del jazz» è perfetta, scintillante. E quei «ragazzi scimmia del jazz» assomigliano a quelli che qualcuno voleva lasciare fuori dal «tempio» lirico-sinfonico. «Ratafià» declina mitologie da gauchos salgariani, che «Alle prese con una verde milonga» ha già portato a livelli stratosferici: «Io sono qui, sono venuto a suonare, sono venuto ad amare, e di nascosto a danzare». E danza la Scala, con l'étoile immobile Paolo Conte nascosto dietro il suo strumento, con il pubblico rapito, per quel suono desueto, retromodernista, quegli arrangiamenti perfetti, ormai rodati da decenni di lima e d'intesa, guidati da Daniele Di Gregorio alla testa di una band di primissimo livello.

La scaletta, divisa in due tempi, è cambiata un po' rispetto al passato, lasciando presagire, chissà, un disco dal vivo, un dvd, uno speciale tv. 

Paolo Conte guida l'ascoltatore nel mondo di «Come dì», sulle tracce di un'«orchestra illusa a Napoli e poi sgridata a Minneapolis». Le passioni sudamericane sono innervate di jazz ancient regime, le canzonette vivono afrori esotici come un film di altri tempi, la sensualità è un vedo-non vedo lontanissimo dalla sfacciataggine pornoromantica dei giorni nostri. «Recitando» è una sorpresa, non fosse per quei versi («E profanando/ con la tua esibizione») che potrebbero assumere un nuovo significato. «Dal loggione» («Viva la musica che ti va fin dentro l'anima») è nuda al pianoforte prima di un intervallo che separa da una sequenza mozzafiato: «Dancing», «Gioco d'azzardo», «Gli impermeabili», «Madeleine», «Via con me», «Max», «Diavolo rosso», «Le chic et le charme». Beffardo e sbarazzino risuona il kazoo, sapido è il calembour, le spazzole accarezzano la batteria come una nostalgia di provincia, le chitarre ritmiche cavalcano spietate, fisarmoniche e violini impazzano come in una festa sull'aia tra amanti di pianura, clangori di fiati, la poesia remota di un oboe. 

Ma la cifra di tutto arriva con il bis, «Il maestro», omaggio a Verdi con quel coro a boccachiusa, o forse a Von Karajan, alla Scala stessa, ma non ai suoi imbarazzanti difensori: «Il maestro è nell'anima/ e dentro all'anima per sempre resterà/ ... Niente di più seducente c'è/ di un'orchestra eccitata e ninfomane/ chiusa nel golfo mistico/ che ribolle di tempesta e libertà». La sala applaude in piedi, felice e commossa, canta in coro «Vieni via con me», l'incantautore sorride sornione, forse ha aperto una porta nel teatro che ha detto no a Dylan, uomo da Nobel, da Oscar, da Pulitzer, da Grammy (e da Scala, certo!). Ma, in ogni caso, si è goduto la serata, e noi con lui. E pure la Scala. 

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