Pappano: «Con la nostra musica creiamo una comunità»

Pappano: «Con la nostra musica creiamo una comunità»
di Donatella Longobardi
Lunedì 8 Agosto 2022, 08:03
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«È un inno alla speranza, una musica che in certa maniera va dal buio alla luce, dal do maggiore al do minore, l'ho scelta perché mi sembra una metafora dei nostri tempi: la pandemia, la guerra, i disastri ecologici, ma noi speriamo sempre che ci sia un domani migliore». Sir Antonio Pappano racconta così la decisione di eseguire la quinta sinfonia di Beethoven con l'Orchestra Filarmonica di Benevento nel tradizionale concerto dedicato alla memoria del padre, Pasquale Pappano, in programma mercoledì, 10 agosto, nella piazza di Castelfranco in Miscano, nell'alto beneventano. Il celebre direttore ancora una volta torna alle radici, nella terra da cui proviene la sua famiglia, per tener fede a un impegno che con gli anni è diventato un imperativo morale: quello di far musica nel piccolo centro del Fortore, un angolo dimenticato al confine tra Campania, Puglia e Basilicata. Proprio mentre il lavoro lo porta sempre più lontano, anche dall'Italia. Direttore musicale dell'Accademia di Santa Cecilia dal 2005, Pappano infatti lascerà presto Roma. Lo attende una sfida prestigiosa: dal 2023 subentra a Simon Rattle alla guida della London Symphony Orchestra. Incarico che affronterà a pieno titolo dal luglio 2024, quando scadrà anche il suo impegno come direttore della Royal Opera House, a Londra (dove è sul podio dal 2002), e potrà dedicarsi a tempo pieno alla grande orchestra inglese con cui collabora dal 1996.

E allora maestro, in Italia sarà sempre più difficile ascoltarla?
«Ma no! Non lascio Santa Cecilia, sarò direttore emerito e avrò sempre tanti impegni anche per completare alcuni progetti iniziati insieme.

Certamente ogni tanto sarò a Roma, ma in Italia sarò anche a Benevento e a Castelfranco, naturalmente».

Già da qualche anno è direttore onorario della Filarmonica di Benevento.
«È un gruppo di giovani interessanti. Con la direzione artistica di Beatrice Rana hanno guadagnato un profilo più alto, e io spero di poter maturare con loro importanti programmi musicali, come ho fatto da tempo con loro in modo da accompagnarli verso nuovi traguardi».

Quest'anno ha messo in locandina anche l'ouverture dal «Flauto magico» di Mozart e il concerto in do maggiore per violoncello e orchestra n.1 di Haydn, solista Erica Ciccotti.
«È un giovane talento italiano. L'ho ascoltata in una audizione e ne sono rimasto molto colpito. Così quando mi hanno proposto il suo nome per questa serata ho subito detto di sì. È molto giovane, forse quello che serve per un brano così bello e fresco, direi una musica positiva che si sposa anche con l'entusiasmo e la giovane età di molti dei componenti l'ensemble».

Dunque un Haydn con tutta la sua positività, un Beethoven che è un inno alla speranza: è la musica che torna a parlare?
«Da tre anni ci sono solo silenzio, problemi. La pandemia ha fatto fermare il nostro mondo, ora finalmente si ricomincia, anche se tutto non è finito, ma si intravede una luce fuori dal tunnel. Quello che è importante in questo momento in cui anche i venti di guerra offuscano il nostro futuro è che la gente torni a riunirsi, a creare una comunità. Noi lo facciamo con la complicità della musica, un piccolo concerto diventa una grande cosa per un insieme di musicisti che combattono tutti i giorni per esistere, collaborare e migliorare».

Il suo concerto è un evento per un piccolo paese come Castelfranco, poco più di ottocento anime, più pale eoliche e mucche che abitanti, dove però in suo onore hanno realizzato dopo molti anni di lavoro una Casa della Musica.
«Peccato sia una bella addormentata. La diffusione del Covid ha bloccato le iniziative che stavamo intraprendendo. A partire da un concorso di canto internazionale per cercare nuovi talenti. Nel 2019 realizzammo per la prima volta proprio nella nuova Casa della Musica una serie di seminari con concerto finale. Far musica in quei luoghi, ascoltare le note diffondersi nelle antiche stradine del centro del paese fu una cosa per me molto emozionante. Pensavo a mio padre, grande appassionato, tenore e musicista raffinato, allievo di Campogalliani, il maestro di Pavarotti. Da quelle terre era partito con mia madre Maria in cerca di fortuna. Prima si recarono a Londra, dove sono nato, poi negli Stati Uniti. In fondo è grazie a lui e ai suoi insegnamenti che sono diventato quel che sono».

E dunque maestro, ora come immagina il suo futuro?
«In questo momento non posso dire con chiarezza cosa potrà succedere, sto riflettendo. Certo, molte cose cambieranno. Nel frattempo voglio vedere, sentire, rendermi conto. Ho bisogno di un po' di tempo. Anche perché ho sempre tanti impegni tra i quali a stento sono riuscito a ritagliare tre giorni per tornare in Italia, a Castelfranco. Non potrò restare neppure un giorno in più per incontrare parenti e amici di famiglia. Devo rientrare subito a Londra. In Inghilterra la sosta per il Ferragosto non esiste e devo concludere dei master prima di iniziare le prove di una nuova produzione di Aida, un'opera che ho anche inciso con Santa Cecilia, protagonista Jonas Kaufmann. Avremo Francesco Meli come Radames e due star: Elena Stikhina e Angel Blue, il regista Robert Carsen ha attualizzato la tragedia ambientandola in uno stato totalitario di oggi. Iniziamo a lavorarci proprio il giorno 15 di agosto, in fondo è un semplice lunedì».
 

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