Gli 80 anni di Paul McCartney, gli auguri di Gianni Morandi: «Spero di riuscire a conoscerlo»

Gli 80 anni di Paul McCartney, gli auguri di Gianni Morandi: «Spero di riuscire a conoscerlo»
di Enzo Gentile
Sabato 18 Giugno 2022, 12:26 - Ultimo agg. 17:21
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L’altra sera era sul palco del Metlife stadium del New Jersey, naturalmente sold out da mesi, quando lo hanno raggiunto Bruce Springsteen, per dividere con lui «Glory days» e una frizzantissima «I wanna be your man», e poi anche Jon Bon Jovi. Il 25 giugno lo aspettano nientepopodimeno che al Glastonbury festival, oggi dicono che sir James Paul McCartney festeggi il suo ottantesimo compleanno in famiglia.

Gianni Morandi, un ragazzo che come noi amava i Beatles (e i Rolling Stones) ha tre anni in meno di Macca, ma l’esordio li accomuna: «Il mio primo 45 giri, “Andavo a cento all’ora”, uscì nel giugno 1962, quasi in contemporanea con l’esordio degli Scarafaggi, “Love me do”. sessant’anni fa esatti. Io ero un adolescente, stavo iniziando questo mestiere, con molta buona volontà e poca conoscenza: da lì a poco, ascoltando i Beatles, cominciai a capire cos’era la musica, vidi la rivoluzione da vicino, in diretta. Ogni uscita discografica di Paul, John e gli altri era un’occasione per imparare».

Da lì a poco i Beatles sarebbero arrivati anche sul grande schermo e a seguire ecco anche l’ondata dei musicarelli italiani, con Morandi rigorosamente in prima linea: pure qui coincidenza sul calendario, da una parte «A hard day’s night» («Tutti per uno»), dall’altra «In ginocchio da te», entrambi del 1964.
Poi, due anni dopo, arriverà C’era un ragazzo che.... «Avevo conquistato già una buona notorietà, i miei dischi vendevano bene, la popolarità era in crescita grazie ad alcuni brani che dalla Rca mi proponevano a getto continui e finivano regolarmente in hit parade», racconta la voce di Monghidoro: «Di questo pezzo esisteva già la musica, fatta da un bravo musicista toscano, Mauro Lusini: quando la fece ascoltare a Franco Migliacci, un genio assoluto, il pezzo divenne quello che tutti conoscono.

Ci mise pochi minuti a scrivere quei versi, l’incantesimo era cosa fatta. Capii subito che sarebbe stata una bellissima cosa per me, ma trovai diverse resistenze: venivo da un repertorio facile, orecchiabile, che la gente cantava subito e non si voleva rischiare con un’immagine un po’ protestataria, che parlava di guerra. Fu forse l’unica volta che mi impuntai, volevo assolutamente quella canzone: arrivammo a un compromesso, l’avremmo registrata sia io che Lusini. Tra l’altro con un arrangiamento favoloso firmato da Ennio Morricone. È andata come sappiamo, quel brano è un inno, una bandiera anche per le generazioni che sono arrivate dopo. Che fosse un pezzo in grado di affratellare, ma anche di rottura, lo conferma la censura, che per un paio d’anni ne impedì la diffusione in radio e in televisione: trattare il tema della guerra, con una critica implicita a un paese alleato, che esportava la morte, per un po’ di tempo non venne accettato. Ma alla fine ha vinto ugualmente. Sono contento che abbia viaggiato anche all’estero: in molti paesi l’hanno tradotta, l’ha adottata persino Joan Baez, un grande motivo di orgoglio. E poi, con i venti di guerra che soffiano sempre più spesso, quel ragazzo non passa mai di moda».

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La storia di Morandi si annoda a quella dei Beatles, e di Paul McCartney nello specifico, un’altra volta, nel 1970, sulla scorta della tendenza a tradurre in italiano le canzoni dei Fab Four. Con lui «Here, there and everywhere» - una delle composizioni preferite dallo stesso Macca, presente in «Revolver» - nella revisione di Playboy (pseudonimo allora adottato da Bruno Lauzi) divenne per lui «Una che dice sì». Una rilettura modesta e dimenticata che lo stesso Morandi rivede con tenerezza: «Sono andato a controllare, è un omaggio che non lascia traccia. Mi era sembrata già all’epoca una scelta strana, rifare i Beatles è una cosa impossibile e comunque sconsigliata. Ma lo facevano un po’ tutti e dunque capitò anche a me: almeno ottenni di evitare uno dei classici davvero intoccabili, tipo “Yesterday”».

Gianni non ha mai incontrato Paul e gli altri: «Resta un mio cruccio. Ma ci sono andata vicino, grazie a Gianni Minà, che era in buoni rapporti con Brian Epstein e provò a organizzare l’incontro: saltò tutto all’ultimo momento, per un contrattempo». Non è mai troppo tardi? «Vedremo, intanto la cosa più importante oggi è augurare buon compleanno a sir Paul l’uomo che cambiò il corso della musica», conclude Morandi, «lui è un esempio per tutti noi. È ancora in tour, combatte ancora tutte le battaglie che crede meritino di essere combattute, mostra non solo con i dischi di avere una creatività ancora fervida. Merita gli auguri degli ex ragazzi che come me continuano ad amare i Beatles e i Rolling Stones. A proposito, come sta Mick Jagger? Suonerà venerdì prossimo a San Siro o si farà fermare dal Covid? Lui gli ottant’anni li compirà l’anno prossimo. Generazion di fenomeni, davvero».

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