Pfm e Cristiano de André di nuovo insieme all'Arena di Verona il 29 luglio, il tour parte venerdì 5 aprile

Cristiano De Andrè
Cristiano De Andrè
di Enzo Vitale
Venerdì 29 Marzo 2019, 12:57 - Ultimo agg. 2 Aprile, 13:27
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La lotta per i diritti sociali nella vita di un impiegato degli anni ‘70. Il suo gesto estremo, le sue delusioni e la definitiva rassegnazione. Ma anche l’utopia, l’anarchia e il sogno di una società diversa. E poi la lotta al potere ma soprattutto la paura. Temi che ritornano nell’epoca della globalizzazione dove quei diritti conquistati nel ‘68 sembrano appartenere a un’era geologica diversa.
Cristiano De Andrè riesuma così “Storia di un impiegato”, il concept album del padre Fabrizio uscito nel 1973. Una vera e propria opera Rock che nel tour sarà arricchita da brani famosi come “Fiume Sand Creek”, “Don Raffaè” e il celeberrimo “Il pescatore”. La regia dello spettacolo è curata da Roberta Lena mentre sul palco, insieme a Cristiano, ci saranno Osvaldo Di Dio, Davide Pezzin, Davide Devito e Riccardo Di Paola.
Il tour riparte il prossimo 5 aprile dal teatro Nuovo Giovanni da Udine con sei nuove date, tra cui quella di Roma (porta di Roma live il 12 luglio).
 



Ma la grande novità sarà il live del 29 luglio all'arena di Verona dove Cristiano suonerà insieme alla Premiata Forneria Marconi.

Cristiano, Storia di un impiegato è stato concepito nel 1973, se dovesse realizzare un altro disco e adattarlo ai tempi nostri, come lo chiamerebbe?
«Probabilmente La buona novella, questi son tempi bui. Ora un titolo del genere ci starebbe a pennello. E poi Fabrizio era atemporale, quindi ogni cosa che ha fatto si può adattare a qualsiasi tempo».

Il ‘68, i cantautori e la protesta, ma adesso cosa c’è da sostenere rispetto a quegli anni?
«C’è da sostenere il sogno di chi ha smesso di sognare. Di quelli che vogliono tornare a parlare d’arte, di poesia, di musica e a vivere liberamente non sotto gente che ha distrutto quei sogni. Bisognerebbe tornare allo spirito di quegli anni».

E’ vero che Faber scrisse Storia di un impiegato per farsi perdonare proprio quel disco a cui lei faceva cenno prima. In quegli anni bisognava schierarsi, altrimenti....
«Sì, schierarsi non politicamente ma raccontare le sue storie. Secondo me Storia di un impiegato e La buona novella sono i dischi più anarchici che lui abbia mai scritto».

Come considera i giovani dell’epoca social, quelli degli smartphone?
«Mah, a dire il vero io sono fortunato. Di ragazzi ne vedo tanti ai miei concerti e hanno teste meravigliose. Seguono l’arte, la poesia e la buona musica. Sono ottimista. Avendo la netta sensazione che abbiamo toccato il fondo, credo proprio che stiamo risalendo».

Il periodo che considera peggiore?
«Forse gli anni ‘80, l’epoca del Berlusconismo. In tanti son caduti nel vuoto e mio padre è qui apposta: lo considero un appiglio nel vuoto esistenziale di quegli anni».

Gli album di suo padre dove si riconosce di più
«Forse gli ultimi, Creuza de mä, Le nuvole e Anime salve. Sono quelli più completi musicalmente e dove io mi riconosco di più».

E per quanto riguarda i primi?
«Quelli erano molto Brassens, io ho avuto una cultura più americana, anglosassone, quindi sono più affezionato a Dylan».

C’è qualcosa di cui si pente?
«Beh, potevo seguire le indicazioni di mio padre e fare il veterinario, però non era nei miei cromosomi. Avevo bisogno di trasmettere qualcosa, di emozionare gli altri. E in qualche modo poi la gente se ne è accorta, compreso mio padre».

Non oso immaginare i confronti
«Sì, ci sono stati e ci sono ancora. Ma sono molto più sereno di prima, li ho superati. Forse ho trovato tardi la maturità, ma alla fine l’ho raggiunta pure io. Se studi, lavori e credi in quello che fai, alla fine arrivi alla meta. Direi che sono stato molto fortunato a salvarmi dal mio cognome».

In questo periodo anche la Pfm canta de Andrè, pensa di fare qualcosa prima o poi insieme a loro?
«Sì,abbiamo confermato la data del 29 luglio all'Arena di Verona ed è quasi sicuro che faremo un altro paio di date insieme nell’ambito di questo tour. Di sicuro sarà qualcosa di grosso».

E dei suoi musicisti cosa può dire?
«Ormai siamo una squadra che funziona. Suono con loro da dieci anni, quindi siamo come dei fratelli. Li ritengo tra i musicisti più preparati in Italia».

C’è ancora spazio per i cosiddetti concept album?
«Secondo me sì. Anzi bisognerebbe ritornare ai concept album».

Lei che musica ascolta?
«Amo la musica degli anni ‘70. In questi giorni ascolto molto Peter Gabriel, i Radiohead, i Massive Attack e poi anche Dylan, Lou Reed e Bowie. Una predilizione particolare per Genesis e King Crimson».

Un autore moderno che le va a genio?
«Niccolò Fabi, Daniele Silvestri, a mio parere sono i due che portano in alto la musica che definisco colta. Ma non vorrei fare una classifica. Ma ci sono tanti musicisti che sono nell’ombra e che prima o poi emergeranno».

Che ne pensa della fiction su suo padre?
«Diciamo che rispecchia mio padre nella maniera più superficiale. D’altronde era una fiction, quindi...».

Disco in arrivo?
«Probabilmente fra un annetto, ma per ora non posso diredi più».

Ma per quanto lei si considera assolto, si ritiene lo stesso coinvolto?
«Cavolo, certo che sono coinvolto. Sono proteso più che mai a portare la voce di mio padre a chi non l’ha conosciuto. Più coinvolto di così non posso».

enzo.vitale@ilmessaggero.it
 

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