Pino Daniele, dal premio al festival per il Mediterraneo

Pino Daniele, dal premio al festival per il Mediterraneo
di Federico Vacalebre
Giovedì 30 Ottobre 2014, 15:27 - Ultimo agg. 18:06
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Perché il Mare Nostrum non è solo di sangue e disperazione, non è solo carrette della disperazione, non è solo vento di guerra. È anche cultura, suono di accoglienza e solidarietà.



Pino Daniele sale a sorpresa sul palco del teatro Mercadante, insignito di quel Premio Mediterraneo andato in passato anche a Nobel come Shirine Ebadi e Naghib Mahfouz. «Non sono un grande oratore, lo sapete, così parlo come so, con la musica», spiega, poi, impugna la sua fida chitarra e - con Elisabetta Serio al pianoforte, Rino Zurzolo al contrabbasso e Mariano Barba alla batteria - cesella un breve set acustico: inizia con la delizia flamenco di «Viento ’e terra», emoziona con «Quando» e «Napule è», saluta con «Mareluna».



Poi via, di corsa nel suo buen retiro toscano, «dove ho la tranquillità per studiare flamenco e mettere in piedi i miei nuovi progetti», spiega divertito dalla toccata e fuga napoletana, del segreto conservato fino all’ultimo momento. Ha accettato l’invito dell’architetto Michele Capasso per il prestigio del riconoscimento e per la platea internazionale, ma non solo: «Ho un progetto sul Mediterraneo, vorrei organizzare un festival che dia spazio ai giovani talenti, spero nell’appoggio dell’ammiraglio Felice Angrisano perché un discorso sul mare va fatto con vista sul mare, coinvolgendo chi nel mare e per il mare lavora».



Nei camerini la banda della polizia penitenziaria gli chiede selfie e autografi: «Siamo tutti musicanti senza permesso ’e guarda’, ce lo hai insegnato tu». I concerti natalizi al Palapartenope dedicati al repertorio di «Nero a metà» lo riporteranno presto a Napoli, ma, ora che c’è, sia pure per poche ore, il lazzaro felice se la gode e fa progetti «Nonostante tutto, questa città rimane capitale culturale e non può rinunciare ad essere capitale del Mediterraneo, magari insieme con Barcellona, cuori di un mondo proiettato in un futuro sempre più multirazziale. Napoli non è più solo dei napoletani, ma è anche dei marocchini, dei singalesi, dei cinesi, dei nigeriani, delle ucraine che qui vivono, lavorano, amano, soffrono. È comprensibile che le frontiere aperte, soprattutto in momento di crisi, spaventino, è persino normale che qualche politicante senza scrupoli soffi sul vento del razzismo, successe anche quando eravamo noi italiani ad emigrare, ma nulla fermerà la società prossima ventura».



È a quella società che guarda il festival che l’uomo in blues ha in mente: «È qualcosa in sintonia con quanto ho fatto sin dall’inizio della mia carriera, devo ancora trovare la location giusta, la voglio in Italia, poi verrà il momento più bello: ascoltare musica, scegliere musica, fare musica». Mediterranean power.