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Riccardo Muti a Torino con il Don Giovanni: «Io, mia figlia e Mozart tra dramma e gioco»

La napoletana Francesca Di Sauro è Zerlina, mezzosoprano in grande ascesa

Riccardo Muti in conferenza stampa a Torino per il Don Giovanni
Riccardo Muti in conferenza stampa a Torino per il Don Giovanni
di Donatella Longobardi
Articolo riservato agli abbonati
Giovedì 17 Novembre 2022, 07:00 - Ultimo agg. : 18:10
5 Minuti di Lettura

Giordano Mazzavillani, padre di Cristina Muti e nonno di Chiara, era un appassionato collezionista di burattini, oggi in bella vista nello studio in casa di Riccardo Muti, a Ravenna. Forse non è un caso, allora, se nel «Don Giovanni» di Mozart - in scena da domani al Regio di Torino e in diretta su Radio3Rai il 24 novembre alle 20 - sul podio il maestro, alla regia la figlia, i personaggi siano simili a burattini trattenuti da fili al loro destino. «Non hanno rischiato, non osano, sono persone di cui il mondo è pieno», spiega la regista cresciuta giocando con i pupazzi del nonno, elementi simbolici di un'antica cultura popolare. «Tutti girano intorno al protagonista, cascano appena lui sparisce, non hanno senso senza di lui, il libertino per antonomasia». Un gioco, ma non solo perché, osserva, «il mito che incarna l'ha reso immune, l'archetipo che rappresenta l'ha liberato dai fili a cui sono ancorati tutti gli altri, e nessun timore di Dio riuscirà mai ad ammaestrarlo. Il mito di Don Giovanni viene dalla polvere dei teatri, è disposto a scendere all'inferno pur di restare se stesso».

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Centrale così il rimando alla commedia dell'arte e, sopratutto, all'opera napoletana del Settecento cui l'autore attinse a piene mani del disegnare la sua trilogia italiana. Trilogia che Chiara Muti conclude dopo aver iniziato il viaggio proprio a Napoli, nel 2016, con «Le Nozze di Figaro» e proseguito con «Così fan tutte». Doveva esserci anche «Don Giovanni» in programma al San Carlo nel 2021, ma si era in piena pandemia. Lo spettacolo fu cancellato e mai recuperato. Ci pensa ora Torino, in coproduzione con il Massimo di Palermo (dove l'opera è in programma il prossimo anno), a rilanciare il progetto. Sul podio c'è sempre Riccardo Muti che affronta il capolavoro mozartiano, inciso anche coi Wiener nel 95, per la quarta volta. La prima, ricorda, «fu alla Scala con la regia di Strehler, la seconda a Salisburgo nel 90, la terza nel 1999 al Theater an der Wien con la regia tutta napoletana di Roberto De Simone, che nel corso della sua straordinaria attività ha anche messo in scena Il convitato di pietra di Giacomo Tritto del 1783. Il Don Giovanni di Mozart, sullo stesso tema popolare, arrivò qualche anno dopo». 

Oggi c'è Chiara alla regia, cosa significa lavorare con la propria figlia? «Quando siamo in teatro io sono il direttore, lei la regista. Lei ha la sua indipendenza. Da bambina seguiva le mie prove alla Scala con Strehler e Ronconi, poi ha studiato musica, recitazione alla scuola del Piccolo, conosce il libretto a memoria. La sua regia è molto legata alla musica, mette in risalto i personaggi e l'elemento giocoso mentre il dramma è, se possibile, più tragico. Cerco sempre regie che rispettino la musica. Mai come nella trilogia è importante conoscere il dialogo tra note e testo, l'italiano, i doppi sensi erotici nascosti tra le parole. Non dimentichiamo che Mozart e Da Ponte definiscono l'opera un dramma giocoso, quindi dramma e gioco».

D'altronde, ha spiegato Muti, «le note scritte dall'autore fanno subito chiarezza. L'inizio dell'opera è in Re minore, una tonalità funebre, la stessa utilizzata nel suo Requiem rimasto incompiuto. È affidata a strumenti gravi: contrabbasso, viole, fagotti. Ma anche qui l'aspetto lieve, giocoso, è dietro l'angolo, l'opera va vista come presa di coscienza dei difetti dell'uomo, un uomo che rincorre le donne ma anche la vita senza raggiungerla mai in una frenesia continua. Ecco l'Allegro, e la musica vola». 

Video

E volano gli amori di Don Giovanni, qui interpretato da Luca Michieletti. La lista delle conquiste femminili stilata dal collaudato Leporello di Alessandro Luongo. E le donne: la Donna Anna di Jacquelyn Wagner, la Donna Elvira di Mariangela Sicilia, la Zerlina di Francesca Di Sauro. Quest'ultima è la napoletana della compagnia, mezzosoprano in grande ascesa, attesa alla Scala per due debutti a inizio 2023 (Bersi nell'«Andrea Chénier» con la regia di Martone e Giulietta ne «Les contes d'Hoffmann»), già attiva nei teatri europei, alla sua quarta collaborazione con Muti che l'aveva voluta lo scorso anno, sempre al Regio, come Despina nel «Così fan tutte». Ora è la giovane sposa di Masetto (Leon Koavi) insidiata dalle lusinghe del cavaliere: «Scoprire Mozart con il maestro Muti apre un mondo, è un privilegio poter lavorare con lui, avere la sua fiducia». Ma la sua Zerlina? «Una ragazza piena di brio come Despina, ma più dinamica. Non è banalmente civettuola, è un personaggio che è gaio quanto basta, si evolve nel corso dell'opera, cresce, diventa donna», racconta la cantante presente in varie accademie che il maestro tiene per trasmettere a giovani cantanti e direttori quanto appreso dai suoi insegnanti: la prossima a dicembre a Ravenna per la Messa da Requiem di Verdi, l'ultima attualmente in programmazione su Ra5 con le prove di «Macbeth»: «Muti ha una grande generosità, ma non è mai severo, ha umanità e comprensione verso chi lavora al suo fianco», continua Di Sauro. «Con me, poi, ha un feeling particolare. Condividiamo le radici partenopee, l'aver studiato nello stesso conservatorio di San Pietro a Majella a Napoli, e spesso durante le prove non mancano gli aneddoti con qualche battuta in dialetto».

Come in questo «Don Giovanni» che ammicca al grande patrimonio dell'opera napoletana, a quella civiltà musicale cui Mozart si riferiva fin da quando, giovanissimo, viaggiò in Italia verso la capitale musicale del Sud: Napoli. Lo ricorda Muti, citando a memoria le parole del genio salisburghese scritte in una lettera al padre Leopold nel 1777: «Quando avrò scritto un'opera per Napoli, sarò richiesto ovunque... È vero, non si guadagna molto, ma pur sempre qualcosa; e in questo modo si acquista più onore e reputazione che con cento concerti in Germania». 

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