Riccardo Muti tra Ravello e Cilento: «Bisogna unirsi per far conoscere il genio di Napoli»

Riccardo Muti tra Ravello e Cilento: «Bisogna unirsi per far conoscere il genio di Napoli»
di Donatella Longobardi
Domenica 24 Luglio 2022, 10:00 - Ultimo agg. 12:25
5 Minuti di Lettura

«Per uno come me che gira il mondo, tornare al Sud, alla terra in cui sono nato e mi sono formato è sempre motivo di gioia e di orgoglio...». Reduce dai «Concerti dell'amicizia» col «Ravenna festival» a Lourdes e a Loreto, oggi Riccardo Muti è a Bari dove stasera terrà il secondo di due concerti al teatro Petruzzelli. Domani il maestro sarà nel cuore del Cilento, a Valle di Sessa, a Palazzo Coppola, dove gli sarà consegnato il Premio Segreti d'Autore e terrà una conversazione con l'ideatore e anima della manifestazione, Ruggero Cappuccio, presente il governatore della Campania Vincenzo De Luca. Martedì, invece, chiuderà una breve tournée con l'Orchestra Cherubini ospite del «Ravello festival»: in locandina «Roma», sinfonia in do maggiore di Bizet; il poema sinfonico op. 62 «Il lago incantato» del russo Ljadov; e «Les préludes» poema sinfonico per il quale Franz Liszt si ispirò all'opera di Lamartine.

Pochi giorni nel meridione che racchiudono memorie e testimonianze. Da ragazzo la famiglia viveva a Molfetta dove il papà era medico Muti aveva frequentato a Bari i primi anni di Conservatorio accolto dall'allora direttore Nino Rota. Poi il trasferimento a Napoli - città dov'era nato il 28 luglio del 1941 in casa della nonna in via Cavallerizza - e gli studi con Vincenzo Vitale al San Pietro a Majella, affascinato dal mondo musicale napoletano e dalla sua infinita ricchezza. 

Video

È così, maestro Muti?
«Sogno sempre il giorno in cui la gloria della cultura napoletana irradierà il mondo.

E non penso solo alla musica, ma a tutte le arti, alla scienza, alla filosofia, alla letteratura. Napoli era la vera grande capitale di un regno, culla di una grandissima civiltà. Le istituzioni culturali dovrebbero unirsi per far conoscere al mondo il loro patrimonio. Teatri, biblioteche, musei. Quando sento parlare di Gomorra inorridisco perché Napoli è tanto, tanto altro».

Lei proprio a Napoli, in occasione dei suoi 80 anni l'anno scorso, volle incontrare i ragazzi di un'orchestra di Scampia, Musica Libera Tutti.
«E spero di tornarci presto. Un'esperienza fantastica! Perché questi ragazzi che vivono in una realtà difficile, sinonimo di negatività, hanno affidato la loro possibilità di riscatto alla musica, sono dei fiori che vogliono vincere la loro battaglia a suon di note, giovani eroi che cercano la libertà attraverso la musica. Vanno incoraggiati e aiutati».

Lei, comunque, ha un rapporto continuo con i giovani, basti pensare ai componenti della Cherubini, tutti under trenta che non possono restare in organico più di tre anni.
«E ci sono sempre tanti campani! Ad ogni cambio ne arrivano di bravi e virtuosi. Sono eccellenze italiane che una volta terminata l'esperienza formativa vanno a infoltire le fila di grandi orchestre, molti oggi sono all'estero. In futuro voglio dedicarmici di più. Ai Cherubini e ai giovani che seguono le mie Accademie, cantanti e direttori. Sono loro che un domani dovranno portare alto nel mondo il nome della cultura musicale italiana. Io nel 2023 lascerò la direzione musicale dell'Orchestra di Chicago dopo tredici anni. Avrebbero voluto tenermi di più, ma sento la necessità di alleggerire le mie responsabilità istituzionali, troppo gravose. Naturalmente continuerò il rapporto di collaborazione con questa meravigliosa compagine musicale e nel 24 abbiamo in programma una tournée europea con tappe in Italia».

E a Salisburgo?
«Ci torno ad agosto, per il cinquantaduesimo anno alla guida dei Wiener Philharmoniker, un piccolo record personale. Pubblicheranno in cd la mia Missa solemnis di Beethoven dello scorso anno, un brano che ho aspettato una vita prima di dirigerlo per la sua intensità e profonda religiosità. Il mio concerto di Ferragosto, una volta appannaggio di Karajan, è il più richiesto, tre repliche nella Gosses Festspielhaus. In questo momento particolare che viviamo tra guerre, pestilenze e problemi ecologici, ho pensato a un programma che si riferisca alla vita e alla morte. Da Caikovskij con la sua Patetica, che è una sorta di testamento a un omaggio all'Italia musicale con Boito, con il prologo dal Mefistofele, una pagina scritta dall'autore neppure a vent'anni».

Maestro ha scelto ancora una volta un autore russo, cosa pensa dunque della «cancel culture»?
«Ripeto spesso che non amo Putin ma che continuo ad amare Pushkin. La storia è quella, nel bene e nel male. Cancellarla non serve a nulla. Anzi. La storia si deve conoscere per non ripetere gli errori del passato. Il politically correct nel mondo dell'arte e della lirica è una sciocchezza, come far morire Don Josè per mano di Carmen. Una regia può essere attuale ma deve essere intelligente. Proprio a Chicago, recentemente, ho fatto non poco scalpore col mio Ballo in maschera».

Vuole spiegare cosa è successo?
«Nel primo atto c'è un giudice, bianco, che parlando di Ulrica dice: Dell'immondo sangue dei negri. La frase è stata cancellata alla Liric Opera di Chicago, alla Scala, al Metropolitan e al Covent Garden. Io l'ho mantenuta. Perché con quella frase Verdi ridicolizza il magistrato, lo mette alla berlina. Cancellare le sue parole significa non saper leggere il libretto e non capire l'intenzione dell'autore. Con la vernice di un altro colore non si cambia la storia. La musica ha un linguaggio universale, senza barriere, è capita da persone con culture, lingue, radici diverse. Ne abbiamo avuto un esempio straordinario recentemente a Lourdes dove ho eseguito canti occitani e ucraini seguiti proprio dalle note del Verdi più religioso. Io sono aperto al futuro. Ma nel nostro mondo si fanno spesso delle interpretazioni arbitrarie e chi non c'entra nulla spesso è proprio l'autore. Non credo di aver avuto un coraggio particolare, ho solo difeso Verdi». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA