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Il Mattino

Roberto Murolo, vent'anni dopo a Napoli un silenzio colpevole

Il 13 marzo 2003 scompariva il grande cantante ma nulla ricorda il suo magistero

Roberto Murolo
Roberto Murolo
di Federico Vacalabre
Articolo riservato agli abbonati
Domenica 12 Marzo 2023, 08:51 - Ultimo agg. : 15:31
4 Minuti di Lettura

Ogni mattina passo davanti casa di Roberto Murolo, sulle scale di via Cimarosa, al numero civico 25, e mi pare ancora di vederlo affacciarsi alla finestra, salutare con la mano, sciogliersi in un sorriso unico, invitarmi a bere il caffé di Mariella, ah che bello o caffè. Spesso, davanti a quella casa, i turisti che vanno a San Martino si fermano ad osservare le targhe che ricordano lo chansonnier e il padre poeta, l'uomo di «Pusilleco addiruso», di «Mandulinata a Napule». Alcuni si fermano e ricordano, altri si guardano attorno, alla ricerca di qualcuno/qualcosa che possa raccontagli la storia davanti a cui stanno passando. Dentro quella casa, dove quasi tutto è rimasto com'era grazie alla Fondazione Murolo e a Nando Coppeto, don Ernesto accoglieva Viviani o giocava a carte con E. A. Mario e Bovio. E Robertino chiacchierava con Fabrizio De André e Dori Ghezzi.

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Quelle, e quante altre storie, non le racconta nessuno, non le ricorda nessuno, e sì che domani saranno vent'anni da quel 13 marzo 2003 in cui, sempre in quella casa, Roberto si spense, per un tumore. L'anno prima aveva ricevuto il premio alla carriera durante il Festival di Sanremo: Pippo Baudo si collegò con via Cimarosa, la salute del novantenne cantante era già malferma.
Vent'anni dopo niente e nessuno ricorda il vecchio-bambino che riportò in classifica nel 1992 il nostro dialetto, pardon lingua, grazie a «Cu''mme», scommettendo sulla creatività di Enzo Gragnaniello e sulla voce di Mia Martini. Lui, che con il Quartetto Mida aveva girato l'Europa per otto anni sulla scia degli americani Mill Brothers. Lui che a Capri, partendo dal Tragara club, aveva (ri)scoperto il valore dei classici napoletani con la sua voce sussurrata da crooner-cantastorie, accompagnata solo da una chitarra. Lui che alle sei corde del sommo Eduardo Caliendo aveva chiesto le note per la «Napoletana», titanica impresa di rilettura dei classici veraci in dodici volumi, dal 1200 al 1962. Lui che chiamava «piccere'» la piccola grande donna Mimì che aiutò a rinascere, ma persino Sophia Loren, che un giorno si presento da lui in gramaglie e con veletta nera, proveniente dal set a San Martino di «Immacolata e Nunziata», il film di Lina Wertmuller tratto dall'omonimo libro di Maria Orsini Natale. La diva voleva salutare l'antico amico, ma si era nella controra, il maestro rinunciava a tutto ma non alla sua pennichella: «Fate presto, piccere'», disse. Donna Sophia sorrise.

Dimenticato Murolo, gigante del 900 napoletano con il più popolare e verace Bruni, e il più contaminato ed internazionale Carosone? No, c'è chi, da Noa a Tosca, lo ricorda con concerti e canzoni. Chi, nell'esercito della musica newpolitana, Gnut ad esempio, ne eredita il richiamo all'essenzialità, al rispetto per i versi e la dizione. Ma nulla, non una mostra, non una rassegna, non una cerimonia ricorda Roberto che si concedeva a tutti senza snobismi, passava dagli auditorium da concerto alle cave rock (storica la notte al Kgb di salita Scudillo), dagli studi televisivi alle feste di piazza. Il teatro Diana e la Fondazione Gaber hanno il merito di aver appena celebrato con Maurizio de Giovanni i novant'anni della sala vomerese e i vent'anni dalla scomparsa del signor G. Peccato solo che nessuno abbia chiesto allo scrittore appassionato di canzone, o a chi per lui, un ricordo-omaggio di Roberto.

Al Mann si è appena aperta una mostra dedicata a Lucio Dalla, napoletano ad honorem, come ricordano le scale che ora portano il suo nome a Santa Lucia. Peccato solo che nessuno abbia ricordato che fu la speciale amicizia-devozione che legava il bolognese al maestro con la chitarra a benedire per primo, dal fronte di cantaNapoli, l'exploit di «Caruso». Eravamo a pranzo alla Bersagliera quando lo chansonnier chiese al cantautore di incidere quel brano, riconoscendolo «figlio della nostra gloriosa tradizione, che ha sempre avuto, da Tosti a Modugno, dei napoletani adottivi. Lucio era emozionato, «Caruso» in qualche modo entrava nella «Napoletana», la aggiornava, la prolungava.
Domattina mi fermerò un attimo in più davanti al n. 25 di via Cimarosa. Con un magone per la mia città smemorata che si riempie la bocca della bandiera di un'identità che sta, invece, perdendo.

Ps. Il 22 giugno saranno vent'anni dalla morte di Sergio Bruni. Continuiamo a farci male da soli.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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