Dopo aver rubato buste inviate da una banca contenenti nuove tessere bancomat, con una truffa telefonica ottenevano il pin dai clienti, e dopo aver attivato le tessere prelevavano denaro dai conti: era questo il modus operandi di una banda guidata da un 54enne, Alberto Arena, e dal suo braccio destro Nicola Abate, 39 anni, che percepiva il reddito di cittadinanza. I loro complici erano Vincenzo Ferrigno, 51 anni, Eugenio Buompane, 38 e Carlo Gabriele Natale, 55 anni, nei confronti dei quali (come disposto dal gip Rossana Oggioni) i carabinieri hanno eseguito un'ordinanza di applicazione di misure cautelari in carcere.
L'accusa ai loro danni è di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio, alla truffa, al possesso e alla fabbricazione di documenti di identificazione falsi oltre a misure patrimoniali come conseguenza dei reati di riciclaggio e indebito utilizzo e falsificazione di carte di credito e di pagamento. Tra le vittime del raggiro messo in atto dalla banda ci sarebbe anche un musicista della band Lo Stato Sociale e un sacerdote di una parrocchia in provincia di Bologna: le carte venivano rubate dai compartimenti postali di Bologna, Padova e Peschiera Borromeo (Milano).
Dagli accertamenti, scattati nell'aprile dello scorso anno dopo la denuncia di un anziano che ha visto sparire dal suo conto in banca 6.500 euro, i carabinieri della Compagnia Bologna Centro e della Stazione Bologna San Ruffillo hanno ricostruito come agiva il gruppo: le buste rubate - sulle modalità sono ancora in corso accertamenti - venivano inviate a una telefonista che contattava i clienti.
Una volta in possesso del codice, secondo la ricostruzione dei militari, entrava azione il 'corriere di provincia' che, con tessera e pin, attivava, come da procedura, il bancomat nel territorio di residenza del correntista. Poi iniziavano i prelievi dagli sportelli automatici, tutte le comunicazione tra i diversi membri del gruppo avvenivano con telefoni di vecchia generazione intestati a utenti inesistenti. Una somma di denaro che avrebbe permesso al capo della banda e al cognato, secondo i Carabinieri, di condurre una vita agiata.