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Il maestro Pappano: «Peccato non aver potuto portare la Nona anche in Piazza del Popolo»

Il maestro Antonio Pappano
Il maestro Antonio Pappano
di Simona Antonucci
Articolo riservato agli abbonati
Mercoledì 8 Luglio 2020, 18:38
4 Minuti di Lettura

«Torniamo a suonare insieme, finalmente. E a “casa” nostra. Senza poterci abbracciare né baciare. Come facciamo sempre da 15 anni. Sarà un incontro poco italiano. Ma con grinta e determinazione beethoveniane».

Dopo aver diretto in questi mesi orchestre virtuali, riunite su palchi digitali, Antonio Pappano sale sul podio, sotto le stelle, con i musicisti di Santa Cecilia, per dare il via, il 9 luglio, alla stagione estiva dell’Accademia. «Contenti di essere al Parco della Musica. La nostra bellissima sede. In Cavea è stato costruito un palco molto grande, per rispettare le normative. Ma sono dispiaciuto che sia mancata la volontà da parte del Comune di Roma di allestire uno spazio a Piazza del Popolo per portare la Nona anche nel cuore della città. Non mi lamento perché è già un miracolo poter ricominciare, però... Pazienza».

Il Maestro sarà il protagonista del “Festival Beethoven STARt”: cinque serate per riascoltare l’integrale delle nove Sinfonie. Il primo appuntamento è per il 9 con le Sinfonie n. 1 e n. 3 “Eroica” per proseguire il 13 con le Sinfonie n. 4 e n. 7, il 16 con le Sinfonie n. 2 e n. 6 “Pastorale” e il 21 con la n. 8 e la n. 5. Gran finale il 24 con la Sinfonia n. 9 “Corale” che vede un cast prevalentemente italiano con Maria Agresta soprano, Sara Mingardo contralto, Saimir Pirgu tenore e Vito Priante basso. «Il repertorio ideale per ritrovarsi», spiega Pappano, da 15 anni direttore musicale dell’orchestra romana, «Beethoven era un genio ed era perseverante. Ritornava continuamente sugli spartiti per trovare il modo giusto. Il suo modo di creare è la nostra metafora per andare avanti in questi giorni difficili. Quando bisogna continuamente modificare le certezze, aggiustare il tiro, per capire come tornare alla normalità».

Come sarà suonare all’aperto? I musicisti distanziati? L’amplificazione?
«Chi lo sa? Contiamo sulla professionalità dei fonici. Ci saranno da fare dei compromessi, non abbiamo scelta. Sarà comunque meraviglioso riavere un pubblico. I musicisti sono entusiasti e abbiamo tutti un gran coraggio».

Questi mesi hanno cambiato il mondo. Lei, che cosa ha provato?
«Travolto da alti e bassi, come tutti. È stato, e lo è ancora, un periodo unico. Abbandonare di colpo il ritmo forsennato della vita e ritrovarsi davanti a uno stop è un’esperienza totale. E quando è in gioco la sopravvivenza, c’è comunque una grande tensione. Chissà come è cambiato il mio modo di dirigere. Lo scopriremo. Ho lavorato in modo diverso per tenere a galla due istituzioni, Santa Cecilia e il Covent Garden di Londra. Cercando di ribadire l’importanza del patrimonio culturale. Il Governo dovrebbe porre più attenzione a un settore che non è soltanto una cura dell’anima, o della mente, ma un business da proteggere».

A Roma si riparte, a Londra?
«Al Covent Garden sono direttore musicale da 18 anni. E resterò fino al 2023. Con loro ho battuto il record: sono il Maestro che è rimasto più a lungo nella storia. Ma per la prima volta non riesco a essere ottimista. La sopravvivenza di un teatro d’opera oggi è complessa. Ancora non esistono i protocolli per immaginare una riapertura e il Governo inglese non ha reso noto quali saranno i finanziamenti su cui possiamo contare. Così, pianificare una stagione, è impossibile».

A Londra ha battuto un record, ma anche a Santa Cecilia, lei è alla guida dell’orchestra da 15 anni, con una conferma fino al 2023. Una predisposizione alla fedeltà?
«Forse è proprio questo il segreto della mia carriera. Più che fedele, sono leale. Se mi appassiono a un progetto lo perseguo, senza data di scadenza. Guardo avanti. Anche adesso che è un momento difficile. Dopo tante cancellazioni, sta arrivando anche qualche conferma. Dovremmo riuscire a partire in tournée il prossimo inverno a Vienna, Budapest, Bratislava, Lienz. Passo dopo passo, fino a Madama Butterfly al Festival di Pentecoste del 2024, a Salisburgo. Sarà una bellissima esperienza per l’orchestra essere in residenza in un contesto così prestigioso».

Quindi resterà ancora? Un nuovo mandato?
«Vediamo. Se il rapporto continua a funzionare e a essere proficuo, io resterei volentieri. Ma manca tanto tempo, dobbiamo ancora parlarne».

Torniamo dell’immediato: il ciclo Beethoven. Nell’anno delle celebrazioni per i 250 anni dalla nascita, si è ascoltato di tutto e di più. Quale sarà la vostra lettura?
«Ogni volta che sento dire o leggo su un giornale “Il mio Beethoven”, mi viene la pelle d’oca. Vi prego non me lo fate più dire. Non è da me. Io studio ogni volta per cercare di capire qualcosa in più. Sicuramente sarà diverso dall’ultima». 

APPROFONDIMENTI
Il Maestro Pappano: «Il cruccio di Morricone era che la sua musica “assoluta” fosse poco conosciuta»

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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