Tananai al Palapartenope di Napoli con Gigi D'Alessio: omaggio ai campioni d'Italia

Interista sfegatato, per una notte indossa la maglia dello scudetto

Tananai
Tananai
di Mattia Marzi
Domenica 7 Maggio 2023, 10:33 - Ultimo agg. 8 Maggio, 09:19
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«Quelli come noi lo sai già come finiscono», canta Tananai nel ritornello di «Quelli come noi», che fa scatenare subito la platea, sold out, del Palapartenope, gremito l'altra sera. Quando le luci della struttura di Fuorigrotta si spengono, si accendono i flash dei cellulari sulle note dell'inno degli outsider, di quelli sui quali nessuno punterebbe un centesimo e che invece ribaltano pronostici e verdetti. Proprio come lui. Passato da eroe scanzonato e perdente di «Sesso occasionale», ultimo al Festival di Sanremo dello scorso anno tra stecche e stroncature, a popstar che in poco più di dodici mesi ha collezionato 18 tra dischi d'oro e di platino tra i singoli e l'album «Rave, eclissi» (uscito a novembre e poi ristampato a febbraio per il ritorno a Sanremo con «Tango»: stavolta è arrivato quinto). E che ora si ritrova (già) a fare un tour nei palasport, in attesa di sbancare di nuovo nelle classifiche estive: stavolta non con Fedez, con il quale insieme a Mara Sattei l'anno scorso cantava «La dolce vita», ma con Marracash.

A Napoli prende le misure con la dimensione dei palazzetti, è la sua prima volta ufficiale: Gigi D'Alessio gli ha portato in dono una maglia del Napoli che il ventisettenne milanese Alberto Cotta Ramusino indossa per la gioia del pubblico partenopeo, galvanizzato dall'apparizione del cantante, che intona con lui «Mon amour».

E la fede interista non impedisce alla neostar di indossare i colori azzurri a fine show. Il parterre e gli spalti sono un tripudio di fascette con sopra stampata la sua faccia e cartelloni con i versi delle sue canzoni scritte a pennarelli. I fan hanno assediato i cancelli sin dalla mattina, biglietti alla mano (non se ne trovava uno nemmeno a pagarlo oro), poi la corsa per assicurarsi i posti migliori sotto al palco. Con quell'aria da bravo ragazzo - il nome d'arte, il nomignolo con il quale lo chiamava il nonno, che in milanese significa «piccola peste», non gli si addice per niente - ha conquistato tutti: «Le mie canzoni sono semplici, ma non volgari. La volgarità è una caratteristica che non mi piace della musica di oggi», dice lui.

La scenografia e l'allestimento sono essenziali: qualche maxischermo e qualche faro. Niente di più. La produzione è stata presa in contropiede. Inizialmente Tananai e il suo entourage avevano prenotato i club. Poi si sono resi conto che le richieste per i biglietti superavano le aspettative: per le sei date - il tour è partito il 28 aprile con la data zero a Ponte di Legno, provincia di Brescia, e dopo Napoli e Roma (ieri sera) farà tappa domani al Forum di Assago a Milano, il 10 maggio a Firenze e il 13 a Padova, prima della parte estiva.

Da «Esagerata» a «Serie A», passando per «Maleducazione» e «Fottimi», sul palco Tananai prova a restituire la dualità dell'album «Rave, eclissi», tra elettronica e lenti. Ha iniziato come dj, lo ricorda quando su «Pasta» si mette alla console: «Un giorno aspettavo delle voci registrate per dei pezzi e mi sono stancato dell'attesa», ha raccontato in un'intervista a «Vanity Fair»: «Ho preso un testo che avevo scritto e l'ho cantato». Sul palco non fa il disagiato arrivato dalla cameretta. Tutt'altro: prova a dimostrare di avere lo stoffa della popstar e ci riesce, spalleggiato da musicisti navigati come i chitarristi Riccardo Onori (suona stabilmente con Jovanotti) ed Enrico Cavion, il tastierista Daniel Bestonzo, il bassista Lucio Fasino e il batterista Donald Renda, gente che suona con Gianni Morandi, Ultimo, Emma. La dualità che caratterizza i pezzi del disco sembra rimandare a una forma di bipolarismo: «No, è una cosa seria e io non me la sento di toccare un argomento così delicato. Parlo degli alti e bassi della vita». Quello della salute mentale, però, è un tema che conosce bene, lui che per gestire il successo è andato in terapia: «Ho iniziato soprattutto per dare un nome a certi pensieri destabilizzanti, che non riesco ancora a definire. Mi sono sentito perso». Si è ritrovato «grazie alla consapevolezza che le canzoni non sono più mie: appartengono alla gente»: e in fondo basta ascoltare il coro all'unisono su «Tango», alla fine del concerto, per capire che è proprio così. 

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