Tiziano Ferro fragile e coraggioso: «Coming out e alcool: così mi sono ritrovato»

Tiziano Ferro fragile e coraggioso: «Coming out e alcool: così mi sono ritrovato»
di Federico Vacalebre
Mercoledì 4 Novembre 2020, 08:00 - Ultimo agg. 20:20
5 Minuti di Lettura

Forse non è un documentario, «Ferro», da venerdì 6 novembre su Amazon Prime. Forse è il diario di una rinascita, spiazzante nella sua scabrosa sincerità. Si apre con il Ferro fragile, Tiziano a una riunione di alcolisti anonimi, e va avanti, con immagini spesso non laccate, nel racconto di una rivolta. Quella di un cantante famoso contro se stesso, e chi non voleva vederlo libero. Quella di un ragazzo obeso che aveva perso 40 chili ma si sentiva ancora grasso dentro. Quello di un ometto che stava conquistando il mondo, ma i discografici avrebbero voluto vedere in compagnia di una donna, una fidanzata, qualche groupie smandrappata a smentire «le voci» sulla sua omosessualità. Quella di un divo che dall'alto delle classifiche si è immerso nel bicchiere che non aveva mai bevuto. 

Perchè spogliarsi così, Tiziano?
«Perché parliamo troppo spesso del problema e mai della soluzione.

Perché ora che ho ritrovato Tiziano Ferro posso pure mostrarlo».

«I ragazzi mi chiamavano ciccione, femminuccia, sfigato». Racconti.
«E mica solo quello. Adoro Latina, la mia città, ma sono stato umiliato, bullizzato. Ero frustrato, poi ho cantato per la prima volta e il mio mondo è cambiato. La musica mi ha letteralmente salvato, anche se ci è voluto tempo a capire chi aveva salvato».

Non conoscevi te stesso?
«No, sapevo quello che temevano i miei discografici, che fossi gay. Mi volevano vedere accanto a ragazze, in Francia avevano assunto uno stilista perché, appena sceso dall'aereo, mi mascolinizzasse il look».

Era così grave che Tiziano Ferro fosse omosessuale?
«Io ero confuso, non avevo nessuno, ma iniziavo a capire che le parole hanno un peso. Un adolescente marchiato come grasso, puttana, frocio, nano, terrone, ritardato, frigida, mongoloide... può cadere molto facilmente. È di questo che parla il docufilm».

Che ti mostra nell'intimità con tuo marito Victor Allen, c'è persino il «filmino» del matrimonio, con te commosso, confuso e felice fino alle lacrime.
«Eccola la soluzione, l'ho capito quando è arrivato il giorno che più temevo nel mondo, quello della morte di mia nonna. Lei non c'era più, ma io sì, e avevo Victor... C'era ancora famiglia, c'era ancora amore, anche dopo di lei, anche senza di lei, anche grazie a lei».

Quando racconti il tuo coming out sottolinei che, sei stato il primo a farlo in Italia. Avresti voluto che qualche collega ti aprisse la strada, ti rendesse il compito più facile?
«Sì. Ho provato rabbia per il gossip, per i pettegolezzi, per chi diceva di sapere di me cose che neanche io sapevo. A Latina l'omofobia era evidente, la discriminazione pure... Poi, però, la rabbia per l'aiuto che non ho avuto si è trasformata in comprensione. Che un uomo di 50-60 anni non se la sente di fare quel passo lo capisco, un po' meno - soprattutto adesso - che un trentenne non osi, non si accorga che il suo pubblico è disposto ad amarlo egualmente».

Ma com'è nato «Ferro»?
«Io stavo scrivendo un libro, Amazon mi ha fatto la proposta del documentario: ho messo come unica condizione che non ci fosse musica dentro, poi ho concesso loro appena una canzone».

Così hai raccontato un successo privatissimo, quello sulla dipendenza alcolica.
«Non avevo mai bevuto, ci sono cascato in tour, quei bicchieri hanno riempito un vuoto di cui non mi volevo accorgere. Dopo gli anni in cui negavo me stesso sono arrivati quelli in cui ammettevo il problema, lo affrontavo. Ora che ho capito chi è Tiziano Ferro, posso pure mostrarlo agli altri. Se ho parlato di qualcosa come gli alcolisti anonimi, che tali devono restare, l'ho fatto per paura che questa storia uscisse fuori nel modo sbagliato, agli incontri a Roma e a Milano trovavo ad aspettarmi i paparazzi».

Ti racconti rinato a Los Angeles, perché la gente non ti ferma, puoi fare la spesa al mercato senza essere disturbato. E ti regali «Accetto miracoli: l'esperienza degli altri», album in uscita anch'esso venerdì.
«Nel computer ho da sempre una cartellina con le cover che un giorno mi sarebbe piaciuto fare. Nei giorni del lockdown sono andato in studio e ho registrato le prime dell'elenco, sono piaciute ai miei discografici, abbiamo persino dovuto fare un contratto ad hoc, questo disco non era previsto. Queste sono canzoni che amo, che mi hanno aiutato quando ero dentro il tunnel».

Fuori dal tunnel Tiziano canta «Rimmel», e forse ha una voce troppo importante per misurarsi con la delicatezza del principe De Gregori. Come all'ultimo Sanremo («Tornarci? Sì, ma da autore») si misura con «E non finisce mica il cielo» e «Perdere l'amore» (Massimo Ranieri sarà al suo fianco anche al San Paolo il 26 luglio 2021). Rende omaggio a Giuni Russo («Morirò d'amore») e Mango («Bella d'estate») accettando paragoni vocali difficili ed estremi. Si gode le melodie di «Margherita» e «Non escludo il ritorno» senza tentare di strafare per personalizzarle, anzi si trattiene persino rispetto alle versioni originali di Cocciante e Califano. Mette da parte il cannone della sua ugola per salmodiare battiatescamente «E ti vengo a cercare», per jovanottare «Piove», per riscoprire lo Scialpi di «Cigarette & coffee». Magari un po' di coraggio in più negli arrangiamenti ci stava, ma «Portami a ballare» di Barbarossa è bella nella sua semplicità, «Ancora ancora ancora» un'almodovariana dichiarazione d'amore per Mina, «Nel blu dipinto di blu» un'ovvietà da crooner. Ferro fragile, Ferro coraggioso.

© RIPRODUZIONE RISERVATA