Ultimo volo per Marty Balin

Ultimo volo per Marty Balin
Domenica 30 Settembre 2018, 22:34 - Ultimo agg. 22:35
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Federico Vacalebre
Marty Balin, morto giovedì a 72 anni, diede il via a un volo spettacolare, storico, lisergico, libertario. All'anagrafe Martyn Jerel Buchwald, di Cincinnati, si era già fatto un nome nella San Francisco che si prepava all'estate dell'amore cantando con i Town Criers e aprendo un club, il Matrix, poi diventato covo, culla, tempio del movimento. Un'intera palazzina dedicata al rock, alla liberazione dei corpi, ai sogni dentro le stanze da pastiglie (e da joint) trasformate. Serviva un gruppo fisso, lo mise insieme: Paul Kantner e Jorma Kaukonen alle chitarre, Jack Casady al basso, Skip Spence alla batteria (ma era anche lui un chitarrista), Signe Toly Anderson alla voce. Il decollo dei Jefferson Airplane avvenne nel 1966, con l'album «Takes off», ma era solo una prova tecnica, l'anno dopo Signe andò via, rimpiazzata da Grace Slick, che già si era fatta notare con i Great Society e si portò appresso due brani straordinari, «Somebody to love» e «White rabbit», cocktail acido di Ravel, Lewis Carroll e Timothy Leary.
La gioventù psichedelica trovò i suoni primi inni, Marty, fino a quel punto voce e autore principale, una complice, ma anche una rivale. In una band di primedonne, lei era la diva, sensuale e promiscuo sogno di una generazione. «Surrealistic pillow» (67) fu una stroboscopica immersione in quel bi/sogno di libertà che stava sconvolgendo gli States. Con i Grateful Dead e con i Quicksilver Messenger Service i JA incendiarono San Francisco prima e il pianeta poi. Salirono sui palchi di tutti i festival che contavano: lo Human Be-In, Wight, Monterey... Furono passione pura a Woodstock, pagarono pegno (Balin fu aggredito anche lui dagli Hell's Angels) ad Altamont, dove il sogno svanì con la colonna sonora dei Rolling Stones.
L'aeroplano rimase ad alta quota con lp come «After bathing at Baxter's», «Crown of creation», «Volunteers», con la title track inno militante per i figli di un'altra Amerika. Poi si abbassò, appesantito da droghe, alcool, divergenze di ego e di progetti. Martyn se ne andò nel 71, turbato dalla morte dell'amica Janis Joplin e dall'eccesso di cocaina in giro, gli altri cambiarono il nome della ditta in Jefferson Starship, ora era un'astronave a disegnare la rotta. Lui tornò a bordo, firmò l'hit «Miracles» su «Red octopus», poi andò via, per rientrare ogni tanto, nelle varie reunion delle due formazioni (nel 1995 passando anche da Napoli, parco Virgiliano, «Marechiaro blues festival»), inseguendo una carriera solista che non decollò mai.
Il viaggio ora è finito anche per Balin, il 28 gennaio 2016 lo aveva preceduto nelle celesti praterie lisergiche Paul Kantner. Forse avevano osato troppo, come angeli ribelli dell'estate dell'amore si erano avvicinati troppo al sole. «Abbiamo perso una leggenda», lo saluta Grace Slick, chiedendosi e chiedendoci com'è che non riusciamo più a volare.
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