«Io, lui e la cameretta in cui nacque Albachiara, fondendo due anime diverse»

«Io, lui e la cameretta in cui nacque Albachiara, fondendo due anime diverse»
di Andrea Spinelli
Sabato 1 Luglio 2017, 08:48
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Sarà anche un «Amico fragile», come suggerisce la canzone di De André più amata da Vasco, ma della presenza dell’amico Gaetano Curreri in una notte come questa il signor Rossi non ha voluto fare a meno. Il cantante degli Stadio sarà sul palco con lui, dovrebbe introdurre «Silvia» al pianoforte, riscoprire l’antica «Anima fragile», tornare davanti alla tastiera per il grande finale sulle note inevitabili di «Albachiara».

Curreri, Vasco va ripetendo che senza di lei la sua vita sarebbe stata diversa.
«E pure la mia. Al tempo del nostro incontro lui aveva per la mente così tante cose che fare il musicista rappresentava solo una delle tante opzioni. Sono riuscito a convincerlo che le sue canzoni prima o poi sarebbero arrivate».
E lui come ha cambiato la sua?
«Stimolandomi di continuo. E regalandomi gesti di autentica amicizia. Quando la Rca stracciò il contratto degli Stadio dopo lo scarso riscontro sanremese di “Canzoni alla radio”, ad esempio, scrisse due canzoni meravigliose, tra cui quella “Bella più che mai che ci tolse di dosso in una volta sola l’alone dei perdenti».
Poi c’era Dalla.
«Lucio, che era geloso dei suoi musicisti, quando sentì “La faccia delle donne” mi disse: cosa volete fare, Dalla e De Gregori? Gli risposi: no, Curreri e Rossi».
Che rapporto aveva Rossi con Dalla?
«Non è mai finito nella tela del ragno, ma c’era grande stima. Quando gli feci sentire “Fegato, fegato spappolato” disse: questo può cantare pure l’elenco del telefono. Rossi ricambiava. Ai funerali fece scrivere sulla corona di fiori: se n’è andato il capofamiglia». 
Nessun tentativo di collaborazione fra i due?
«No. Anche se Lucio ci provò in tutti i modi. Una sera a cena portò addirittura Morandi sapendo che Novella, la madre di Vasco, era una sua grandissima ammiratrice. Pur di fare qualcosa con lui, tra un piatto di tagliatelle e un bollito, gli propose addirittura di scrivere assieme un libro di favole per bambini».
Ricorda quando nacque «Albachiara»?
«Come potrei dimenticarlo? Anche stanotte, quando arriveranno le prime note, sarò risucchiato alla ricerca del tempo perduto, sarà come ritrovarmi nella mia stanzetta di Vignola, Vasco che canta accompagnandosi con la chitarra, io al pianoforte. Allora non sapevo che sarebbe diventato una rockstar da Guinness dei primati, che quella tenera melodia, quei versi di speranza, quella canzone che credeva nel futuro, nei giovani, nelle donne, potesse diventare quello che è diventato, quasi una sigla, un rito pagano, ma anche una messa cantata».
Qual’è il segreto del pezzo?
«Ci incontravamo, la mettevamo a fuoco anche sul pianoforte verticale di Punto Radio. In quel pezzo si incrociavano le nostre due anime, la mia passione per il suono classico e il suo furore rock. Ma io ci aggiunsi solo qualche colore, un pizzico di romanticismo, testo e musica è tutta farina sua. Anche l’assolo di Maurizio Solieri lui l’aveva in testa ancora ancor prima di affidarglielo: glielò cantò per spiegargli che cosa voleva».

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