L’urlo del popolo di Vasco: «Il rock è contro la guerra»

L’urlo del popolo di Vasco: «Il rock è contro la guerra»
di Federico Vacalebre
Sabato 21 Maggio 2022, 00:02 - Ultimo agg. 17:38
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M 49, l’orso più famoso d’Italia, rinchiuso in un vicino recinto, non ha gradito, disturbato da volume e luci. E l’intera vallata in cui è sorta la Trentino Music Arena sembrava aliena alla carica dei 120.000 che l’ha invasa: imbottigliata nel traffico, oltre che frastornata dalle beghe tra politici locali, la piana di San Vincenzo, frazione di Trento, circondata da alberi di mele, filari di viti, roseti, si è riempita di adrenalina, sudore e tatuaggi. Il fronte del palco affacciava nel verde, stemperando lo stress dell’attesa sotto un sole implacabile, prima di ritrovare i suoi sogni (ed incubi) di rock and roll. 

«Finalmente!». «Finalmente siamo tornati a fare musica, a far l’amore, ad assembrarci, ad accoppiarci», ha urlato, dopo l’arrivo in elicottero, il Komandante, tonico come pochi settantenni, soprattutto dopo cotanta vita spericolata. Il palco era enorme, alto con un palazzo di 9 piani, largo 90 metri, 200 tonnellate di peso, per assicurarne la tenuta statica sono stati utilizzati 18.500 litri d’acqua. Ma i numeri che contano in questo ritorno alla vita sono quelli che raccontano una storia d’amore che dura da 45 anni o quasi, visto che il debutto del rocker di Zocca risale al 1977, il successo qualche anno dopo: saranno 660.000 a fine tour gli spettatori di questo «Vasco live» che riapre, col clamore che merita, la stagione dei grandi concerti dopo lo stop per pandemia.

«Finalmente!», ha risposto il coro dei 120.000, entusiasmo ed ormoni alle stelle: sono cresciuti con quel suono, «ci hanno salvati le tue canzoni» gli hanno urlato.

Il light show era imponente, i visual popolavano la notte trentina di colori inediti: deserti, montagne lontane milioni di chilometri, segni rubati alla più classica iconografia rock. «Quando salgo sul palco e la musica comincia, tutto torna», confessava lui. E tutto tornava davvero: bastava una schitarrata, un silenzio, un lampo di quegli occhi azzurri rimandato dai megaschermi coloratissimi, il boato del popolo del Kom. La band poggiava come sempre sulle sei corde spaccone di Steff Burns e Vince Pastano, ma la novità arrivava dai fiati: Andrea Ferrario al sax, Tiziano Bianchi alla tromba e Roberto Solimando al trombone aggiungevano colori inediti, permettevano godibilissime soluzioni funky ad arrangiamenti che per diversificare i clangori da rock duro e (mai) puro prevedevano anche strumenti come congas, timbales e lap steel guitar. 

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Ma l’uomo solo al comando, l’orso buono di cui nessuno qui ha paura era il Blasco, che iniziava mostrando il dito medio per accompagnare l’«XI comandamento» al centro del suo ultimo album, «Siamo qui», grido d’allarme contro la deriva populista-sovranista. I fiati si facevano subito sentire, il messaggio per la platea era semplice, schietto, diretto: «Di nuovo inseme... vivi e lucidi». La prima parte del concerto sbocciava granitica: «L’uomo semplice», «Ti prendo e ti porto via», la confessione feroce di «Se ti potessi dire»: «Quante volte ho voluto morire, quante volte camminando sul filo sono stato, sono arrivato vicino all’inferno della mente, quell’inferno che esiste veramente». «Senza parole» era la prima ballad acustica della serata, «Amore aiuto» una sorpresa: mai fatta prima dal vivo, roba (gloriosa) di quarant’anni fa («Vado al massimo»). Lui ha mal di schiena e chiede a lei - «topina», «farfallina», «bestiaccia» gli epiteti scelti - di fargli una p...untura, «insomma, dammi qualcosa, no?».

Dagli anni Ottanta arrivavano anche «Ti taglio la gola», probabilmente un’altra metafora sessuale, e «Toffee» con citazione dell’assolo di sax originale e l’applaudito ritorno sul palco di Claudio «Gallo» Golinelli che sostituisce per il brano Andrea Torresani. A metà serata, dopo «Un senso» e l’inno alla sessualità fluida di «L’amore, l’amore», un’interludio troppo lungo permetteva al cantautore di rifiatare, poi arrivavano, spietati nonostante qualche calo di tensione, hit come «C’è chi dice no», «Gli spari sopra», «Siamo soli» («ma tantissimi», concionava il Kom), «Rewind» con ormai il tradizionale spettacolo di topless ostentati per il piacere delle telecamere guidate da Pepsy Romanoff. Il rito dei bis non ammetteva repliche. «Sballi ravvicinati del terzo tipo» serviva a lanciare un messaggio alla folla: «Noi siamo contro la guerra. Noi siamo contro tutte le guerre. Le guerre sono contro l’umanità, la civiltà, le donne, i bambini, gli anziani. Fuck the war. Pace e musica. La musica è pace. Give peace a chance. Mettete dei fiori nei vostri cannoni». «Sally, «Vita spericolata» e, naturalmente, l’apoteosi di «Albachiara» chiudevano lo show, affidandolo ai ricordi e ai fuochi d’artificio. Poi l’orso M49 poteva tornare a dormire sonni tranquilli, se tranquilli possono essere i sonni in cattività.
Vasco, intanto, prosegue per la sua strada, il suo tour: ci vediamo il 7 giugno a Napoli, stadio Diego Armando Maradona. Finalmente.

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