Vasco Rossi, concerto a Bologna: l'ultimo rito rock «contro le favole»

Lo stadio della «sua» Bologna lo attende dal 2015, e dopo la ballata iniziale esplode il rock

Vasco Rossi in concerto
Vasco Rossi in concerto
Federico Vacalebredi Federico Vacalebre
Mercoledì 7 Giugno 2023, 07:00 - Ultimo agg. 8 Giugno, 07:33
5 Minuti di Lettura

L'ultimo rito rock inizia con un ritorno a casa, dopo il rodaggio di Rimini: «Bologna per me significa molto: è la capitale dell'Emilia Romagna, unisce e non divide. E mi ha adottato: ci ho fatto gli studi, la radio, le prime canzoni, i primi concerti. Da tempo non riuscivo a suonarci, sempre Imola, Modena... Finalmente Bologna», racconta Vasco Rossi prima di salire sul palco dello stadio Dall'Ara, per la prima delle quattro notti felsinee (si replica stasera, poi l'11 e 12 giugno), quarantamila spettatori a manche a coccolarlo e a urlare alla luna con lui.

Già, perché si comincia, a sorpresa, contro le abitudini adrenaliniche dei suoi incipit, con «Dillo alla luna» e la sua esortazione a guardare in faccia la realtà.

Una ballata, un'apertura spiazzante. «Perché oggi tutti raccontano favole, balle. C'è una narrazione di falsa grandeur. L'Italia non conta niente nel mondo. È una grazia se siamo in Europa. E non è un problema di destra o sinistra, ma di politici: pensano solo al consenso, al voto, non alla gente, a quello che serve veramente». In «T'immagini» è senza peli sulla lingua: «Favole, favole, favole», raccontano tutti favole, conciona. E per tutti intende, e dice, Meloni, Salvini e Berlusconi, ma anche i comunisti e i 5 Stelle, non si salva nessuno. Il Vasco pensiero resta quello di sempre, con un pizzico di pessimismo in più: «Io sono un radicale, ma mi manca Pannella». E poi, sulla Schlein e l'armocromista: «Non credo ne abbia bisogno, mi sa che l'hanno messa in mezzo. A me, comunque, mi veste Laura, mia moglie».

Ma sono «le trappole dei giornalisti», che gli chiedono se pensa a prossimi dischi («no, ma una canzone nuova la sto finendo»), al ritorno al «suo» San Siro («quest'anno era occupato, nel 2024 potrebbe ospitarci per sette show»), di Sanremo, della Sicilia («torno a Palermo, che bello»), di Salerno: «Il 28 e 29 giugno all'Arechi ci regaliamo la festa di fine tour, adrenalina pura. Io con Salerno ho un legame di sangue», e sorride pensando al figlio Davide, nato a Pagani, concepito nei dintorni. E chiedono ancora dei 450.000 biglietti venduti per questo tour tutto sold out, dei 13 milioni di spettatori incontrati finora ai suoi oltre 800 concerti, del suo mestiere: «Io sono un provocatore, chi capisce capisce e chi no... si stupisce e va bene lo stesso. La musica dà gioia, energia, cura, fuga, respiro».

Ma il fronte del palco non può attendere, lo stadio della «sua» Bologna lo attende dal 2015, e dopo la ballata iniziale esplode il rock, con uno show che Tania Sachs, storico addetto stampa del Komandante, definisce tutto «sax, sex and rock'n' roll». La pioggia del tardo pomeriggio non bagna le polveri del pubblico, che salta e canta e suda e sogna con «Stendimi» (sullo schermo le immagini dell'alluvione in Romagna), «Manifesto futurista» e «XI comandamento», ma soprattutto con il devastante 1-2 di «C'è chi dice no» e «Gli spari sopra». La band è compatta come sempre, guidata da Vince Pastano nell'ibrido territorio tra il il rock, la canzone d'autore e il clangore metallico. Claudio Golinelli, per tutti qui «il Gallo», rispunta come ospite d'onore col suo basso, i fiati sono squillanti, il ritmo pesante. Ci sono pezzi che il signor Rossi più famoso d'Italia non faceva da tempo («Non sei quella che eri», «Domani sì, adesso no») e melodie che si porta dietro da un pezzo: «Ogni volta», «Vivere», «Canzone», «Una canzone d'amore buttata via». 

Video

L'ultimo rito possibile nell'Italia senza punti di riferimenti è quello consumato sopra e sotto il palco, tra il rocker di Zocca e il suo popolo, che non è retorica chiamare così. Un medley incandescente tiene insieme in venti minuti sette brani e mille ricordi, il gran finale si presenta sul palco kolossal come l'apoteosi rituale, la catarsi tanto attesa, anche senza sapere da che cosa, di che cosa: «Siamo solo noi», «Sally», «Vita spericolata», l'attesa tenerezza di «Albachiara» che rompe le righe, rimanda a casa, al prossimo concerto, al prossimo rito, l'esercito del Blasco.

Lui, sudato, confuso e felice, promette di «restare sul palco fino a quando ce la farò». E pregusta la festa finale di Salerno: «Ci sarà da divertirci». E, per chi non ha trovato il biglietto: «C'è sempre l'estate prossima, se non arriva la fine del mondo, ci rivediamo a giugno, tra un anno». Rituale come mai. Ed esorcistico: «A 71 anni devi sapere che oggi ci sei e domani non ci sei più». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA