Vecchioni, ecco il nuovo cofanetto: “Vorrei che i giovani trovassero la felicità”

Vecchioni, ecco il nuovo cofanetto: “Vorrei che i giovani trovassero la felicità”
di Claudio Fabretti
Mercoledì 7 Dicembre 2016, 09:10 - Ultimo agg. 09:23
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«Ho raccolto le canzoni per i miei quattro figli, per celebrare questi miei 40 anni di paternità. Ma in realtà sono un omaggio a tutti i figli del mondo. E ho aggiunto due inediti, da figlio a mia volta, dedicati a mia madre». È emozionato, Roberto Vecchioni, quando parla di Canzoni per i figli, il suo nuovo disco che esce in un cofanetto con il suo libro La vita che si ama. Un progetto che riporterà anche in tour da gennaio.

Professor Vecchioni, com’è nata l’idea di questo disco? «Ho ritrovato queste mie canzoni, alcune perse nel tempo, poco note. Le ho ricantate e riarrangiate. E mi sono emozionato più della prima volta, perché sono cariche di ricordi. Una gamma di gioie, dispiaceri, pensieri che attraversano questi 40 anni di vita con i figli».

Rispetto ad altri cantautori, lei ha avuto sempre un osservatorio privilegiato sui giovani, grazie al suo lavoro nella scuola. «Sì, anche ora: insegno all’università di Pavia. La cosa che ho visto più in vita mia sono banchi! E poi ci sono gli studenti: insegnare non significa solo dare nozioni, insegnare è socratico, bisogna dare i mezzi ai ragazzi per ingegnarsi da soli. Loro sono fragili, hanno bisogno di uno stimolo, ma poi partono e si buttano come pazzi».

È la stessa fiducia che aveva ai tempi di “Sogna ragazzo sogna”? «Già, quella canzone l’avevo scritta per i miei ragazzi, quando sono andato in pensione dalla scuola e lì dentro c’è tutto: l’invito a non abbattersi mai, a guardare avanti, a vivere le gioie e i dolori, ad avvinghiarsi alla vita. E vivere è essere felici».

Ecco, la felicità. Nel suo libro scrive: «Voglio averla addosso come una febbre»... «Sì, perché abbiamo un’idea riduttiva della felicità, pensiamo che coincida solo con i momenti in cui siamo sereni o ci va bene qualcosa. Ma la felicità è tutto il resto: devi prendere le avversità e ribaltarle, e devi prendere le gioie e goderle fino in fondo. Devi prendere tutto».

Dici Vecchioni e pensi a “Luci a San Siro”. Oggi quant’è lontana, la sua Milano da quella che aveva immortalato in quel suo capolavoro? «È lontanissima: quella era una Milano pionieristica, un paesone, dove conoscevamo tutti, persino un po’ di mala! Fiorivano i cabaret, la comicità, il jazz. Tutte cose che oggi sono sparite o sono diventate di nicchia. Ma la Milano di oggi non è meno bella: è una città avveniristica, globale, cosmopolita. Una città che dà certezze».

In quegli anni esplose anche la scena dei cantautori... «Quella degli anni 60 e 70 è stata una generazione speciale. I vari Dalla, Guccini e De André non erano solo cantautori, erano guru, facevano opinione. E i loro dischi erano viaggi, storie incredibili, in cui ci si rispecchiava tutti. Oggi ci sono ancora cantautori validi, ma hanno perso questo ruolo. Forse perché conta solo la bellezza di una canzone, di un attimo, magari accatastato sopra un altro in una playlist».

Poi un giorno, a sorpresa, l’abbiamo trovata sul palco di Sanremo, e ha perfino vinto! Com’è successo? «Quella del 2011 è stata una esperienza che ho voluto fortemente, mi piaceva l’idea di valorizzare la canzone popolare in quel contesto, a volte un po’ dozzinale, ma sempre importante per la cultura italiana: andarci e vincere, con un brano abbastanza nobile, è stata una bella impresa e una gioia immensa».

Oltre tutto, è diventato l’unico cantautore ad aver vinto insieme Tenco, Sanremo e Festivalbar. Sfatato il cliché del radical-chic di nicchia? «Ma sì, in fondo non lo sono mai stato. E ormai posso andare in una piazza a fare 5-6mila persone o in un teatro a farne mille. E anche da scrittore ho vinto tre premi molto diversi tra loro, come il Pavese, il Montale e l’Elsa Morante».

Tornando ai figli, è soddisfatto del suo lavoro di padre? «Solo in parte: non sono riuscito a spiegare loro i mezzi che servono per battersi in questa giungla che è la vita. Un po’ bambinescamente, ho insegnato loro i sogni, il senso della bellezza, ma non so quanto queste cose alla fine siano utili. Loro, comunque, si difendono bene, anche perché sono tutti molto intelligenti. Hanno preso dalla madre!».
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