Morto Wayne Shorter, addio al leggendario jazzista che suonò con Pino Daniele

È stato un gigante del jazz, uno degli ultimi leoni della musica afroamericana

Wayne Shorter con Pino Daniele
Wayne Shorter con Pino Daniele
di Federico Vacalebre
Venerdì 3 Marzo 2023, 07:00 - Ultimo agg. 4 Marzo, 09:06
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Il suo sax soffiava note mai sentite prima né dopo, anche se figlie del prima (John Coltrane, ma anche Miles Davis, certo) e madri di tanto, ma tanto dopo. Wayne Shorter se n'è andato ieri, a 89 anni, in un ospedale di Los Angeles, dove era ricoverato. Era partito da un sound nitido nell'attacco delle note, con frasi lunghe e contrastate sino al parossismo, poi aveva scelto soluzioni tronche, dolcemente liriche, arrivando a una creazione plurivocale in cui accompagnamento e assolo reclamavano autonomia. Nostalgia e modernità erano, nel suo sound, due facce della stessa medaglia. Come, a carriera inoltrata, la scrittura e l'improvvisazione.

L'uomo nato a Newark, New Jersey, il 25 agosto 1933, è stato un gigante del jazz, uno degli ultimi leoni della musica afroamericana, autore di brani diventati standard come «Footprints» e «Black Nile».

Ma Shorter ha marchiato con il suo sassofono anche una bella fetta della migliore colonna sonora del Novecento tout court perché, accanto ai suoi dischi, accanto naturalmente a quelli di Miles Davis e dei Weather Report, ha lasciato il segno in storiche registrazioni di Steely Dan («Aja», 1977), Joni Mitchell («Don Juan's Reckless daughter», 1977; «Mingus» 1979; «Wild Things run fast», 1982, tra gli altri), Pino Daniele, Milton Nascimento, McCoy Tyner, Carlos Santana...

Svezzato al jazz da Horace Silver e da Nat Phipps, nell'orchestra di Maynard Ferguson incontrò Joe Zawinul, futuro complice di tante avventure. Poi entrò nei Jazz Messengers di Art Blakey, arrivando a meritare i titoli di direttore musicale, arrangiatore e compositore. Nell'estate del 1964 fu arruolato nello storico quintetto di Miles Davis con Herbie Hancock, Ron Carter e Tony Williams e ci rimase sino al 1970, lasciando contributi indelebili anche sui primi vagiti del jazz rock di «In a silent way» e «Bitches brew». «Era il più grande compositore del gruppo, l'unico che poteva permettersi di portare musica a Miles senza che lui la cambiasse», ricordava Hancock.

Maestro ormai del soprano come del tenore, Wayne alternava registrazioni da leader a quelle di turnista, suonando con Freddie Hubbard, Lee Morgan, Grachan Moncur III, Bobby Timmons. L'antico amico Zawinul, alla fine dell'avventura con Davis, fu al suo fianco nel fondare i Weather Report con Miroslav Vitous e Airto Moreira. Sembravano uno spin-off dell'avventura del grande trombettista, diventarono la prima e più importante band fusion di tutti i tempi, intercettando la meglio gioventù sonica del periodo: Jaco Pastorius, Alphonso Johnson, Peter Erskine, Omar Hakim, Victor Baley, Mino Cinelu... sino alla scioglimento nel 1986, lasciandoci lp epocali come «I sing the body electric» (1972), «Black market» (1976) e «Heavy weather» (1977).

Conclusa anche questa seminale esperienza, si dedicò alla scoperta di nuovi talenti, lanciando le percussioniste Marilyn Mazur e Terri Lyne Carrington, le pianiste Geri Allen e Renee Rosnes, e girando il mondo in quartetto con Danilo Pérez, John Patitucci e Brian Blade, per un ritorno al suono acustico e una svolta improvvisativa.

Proprio con Pérez, Patitucci e Blade il 16 luglio del 2017 lo applaudimmo a Villa Rufolo, per il «Ravello festival», in una notte di vento e di incendi. In platea c'era anche Richard Gere. «Uno show selvaggio», commentò alla fine sorridente in camerino, ricordando l'amico Pino Daniele con cui aveva inciso un album storico come «Bella mbriana» (1982), a cui aveva contribuito anche un altro ex Weather Report, Alphonso Johnson. «Era il gitano di Napoli, un innovatore, un musicista a 360 gradi. Voleva cambiare la musica della sua città, peraltro città della musica. E l'ha fatto». Accennò al sassofono al suo storico assolo su un brano come «Toledo», raccontò la registrazione di «Io vivo come te» e «Maggio se ne va». Per lui il Lazzaro Felice «rappresentava il suono di Napoli, come Amalia Rodriguez è il suono del Portogallo, come Carlos Santana è il suono del Messico». 

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