Zucchero canta l'inno di Bono per l'Italia nel Colosseo deserto

Zucchero a Roma: «Sono nel Colosseo, canto l'inno di Bono per l'Italia»
Zucchero a Roma: «Sono nel Colosseo, canto l'inno di Bono per l'Italia»
di Simona Orlando
Mercoledì 22 Aprile 2020, 10:33 - Ultimo agg. 23 Aprile, 14:21
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Eppur ci si muove. Nella stasi imposta, c’è una geografia emotiva che si traccia veloce e annulla le distanze. L’Italia che esorcizzava la paura cantando dai balconi, ha raggiunto la Dublino di Bono Vox, ispirandogli il brano 'Let Your Love Be Known' su cui Zucchero ha scritto il testo in italiano. Le loro voci si intrecciano sul finale di quella che è diventata la ballata soul “Canta la vita”, eseguita live da piazza del Colosseo dal bluesman padano e in onda per l’’Earth Day, 50° Anniversario della Giornata Mondiale della Terra, all’interno della maratona multimediale #OnePeopleOnePlanet su Rai Play. 
 


L'Italia ha aperto le celebrazioni dedicandole a Papa Francesco nel 5° Anniversario della Sua Enciclica Laudato si'. Zucchero doveva essere in tour mondiale, ovviamente slittato, e dalla sua fattoria ha lavorato sulla canzone, poi è partito alla volta di Roma: «Da solo, al piano, nel monumento più conosciuto al mondo. Un’immagine pazzesca. E anche un’impresa, realizzata con sole quattro persone, distanziate, schivando la pioggia e senza prove» ci racconta.

Occasione imperdibile, anche per un non credente?
«Sono un uomo in ricerca e Francesco D’Assisi è il mio santo preferito, per l’amore verso la terra e gli animali. Condivido con il Papa la preoccupazione per un mondo governato dal profitto, l’invito a tornare ai valori importanti, che si contano sulle dita»

Com’è nata “Canta la vita”?
«Bono ha postato il brano on line, l’ho chiamato per complimentarmi e mi ha chiesto subito di farne una versione italiana. Ha il dono di entrare nel cuore delle cose, senza girarci intorno, quindi sono fedele al suo testo. Sarebbe stato stupido cambiarlo. Io non vorrei mai che un mio adattamento, che so di Diamante, parlasse di altro. Era rimasto colpito dalla reazione degli italiani sui balconi, dal canto come forma di contatto e resistenza».

E come ha reagito Bono quando l’ha ascoltata?
«”Cazzo come canti!”. Lui è fantastico, scrive parole poetiche ma si esprime da ragazzo di strada. Abbiamo collegato gli studi per arrangiare a distanza e ha fatto bellissimi cori alla Beatles. A un certo punto gli ho detto: «E’ il caso che canti anche una parte», e lui: «Eh, ci sei arrivato!». Alla versione finale ha esultato: “You crushed it!”, spacca, insomma. Fra noi c’è una magia, una sintonia che va avanti dagli Anni ’90».

Che ne sarà del brano dopo l’Earth Day?
«Non ci abbiamo ancora pensato. E’ nato tutto sul momento»

Cosa vede Zucchero dalla sua finestra?
«Uno spettacolo di grazia. La terra sembrava morta fino a pochi giorni fa, ora fioriscono meli e ciliegi. E’ un’esplosione di bellezza, armonia perfetta. In natura la rinascita è sicura. Noi uomini ora dobbiamo imitarla, eliminare la gramigna che infesta e le piante carnivore, tornare all’essenza».

Il suo disco D.O.C. già chiedeva un’umanità di origine controllata?
«Doveva intitolarsi Suspicious Times, tempi sospetti, perché devi essere numero uno per forza, sennò sei nessuno. Mi fa piacere che stiano tornando protagonisti anziani e medici, colonne portanti nei vecchi paesi. E’ il piccolo mondo antico cui appartengo io, quello di Don Camillo e Peppone, dove ogni divisione si risolve con un pranzo alla domenica»

Impara ancora dai contadini?
«Tutto, da loro e dai saggi con i quali parlo al bar la mattina, in dialetto. Molte loro frasi finiscono nei miei brani. Possono avere caratteri ruvidi, ma sono di un’autenticità disarmante»

La sua “Sarebbe questo il mondo” è toccante. Perché non l’ha scelta come singolo?
«”La canzone che se ne va” dà più luce e speranza. E’ quello che ora serve, L’altra è il ricordo dell’unica volta che mio padre venne a vedermi in concerto, al Palasport di Modena. Non si muoveva da casa, per non lasciare le galline da sole. In camerino gli dissi: ‘Babbo accompagnami al palco” e poi nel cammino gli chiesi: “Sarebbe questo il mondo che da bambini, io e te, sognavamo?”. Non lo era, perché malato di egoismi».

La sua performance a Together at Home di Lady Gaga è lodata dal “Guardian” inglese. Quanto vale?
«Moltissimo. E’ ciò per cui lavoro da una vita, essere riconosciuto nel mondo del rock-blues ma da italiano. A parte la lirica, l’Italia è sempre etichettata come spaghetti-qualcosa, un surrogato di altro. Non è così. Mi era successo un’altra volta, quando aprii per Eric Clapton alla Royal Albert Hall. In genere i supporter non vengono nemmeno citati, invece scrissero ‘Vi consigliamo di ascoltare questo cappellaio matto dalla voce di cuoio”»

Chi l’ha invitata al Together At Home?
«Il mio nome lo ha fatto Elton John. Avevo anche registrato una mia versione del Va’ Pensiero, che credo metteranno presto on line»

Ha lavorato con tutti i più grandi. Le radici semplici l’aiutano a non avere il culto della celebrità?
«Non riesco ad atteggiarmi a vip. Quando visitai la villa di Sting, lui mi mostrava le venti stanze e, anche se era giorno, accendeva tutte le luci e le lasciava così. E io dietro a spegnere, con la voce di mio padre nelle orecchie che gridava: la luce non si consuma! E poi c’è l’insegnamento di Luciano»

Intende Pavarotti?
«Sì, lui. In dodici anni insieme ho imparato molto. A cena con il Presidente americano parlava in dialetto, al rientro dai tour mondiali chiamava subito gli amici per una briscola. Mi invitava in hotel a New York e tirava fuori salami e parmigiano. Ecco perché era planetario»

Le 14 date settembrine all’Arena di Verona sono confermate?
«Non sono state ancora cancellate. Viviamo così, sospesi, e non è affatto bello. Non lo dico per me, che sono un privilegiato, ma per le tantissime persone che lavorano ad un evento simile, hanno famiglie da sostenere e bisogno di sapere se possono contare su un ingaggio»

Come immagina il primo concerto post-virus?
«Suono almeno cinque ore e faccio un baraccone che se lo ricorderanno. Sarà una liberazione»

A proposito, festeggerà la Liberazione?
«Certo, credo non sia celebrata come merita. Ci sono sempre canzoni di libertà nei miei dischi, “Freedom” nell’ultimo, “Un soffio caldo” scritta con Guccini, “Partigiano Reggiano”, dove citavo proprio Bella Ciao, una delle più belle canzoni mai scritte».

Sta sprofondando nel blues o è reattivo in questo periodo?
«Il mio studio sembra una vecchia baracca sul Mississippi, con lamiere arrugginite e assi di legno. Vivo sul fiume, e non in collina, perché trovo che il rumore dell’acqua sia terapeutico. La malinconia c’è, ma non mi sto chiudendo in me stesso. Mi vengono un sacco di idee. Ho voglia di buttare fuori i sentimenti perché mi sento fortunato e la musica mi salva dagli incubi. Ripeto sono un privilegiato, anche se questo non mi rende immune alla sofferenza, che vedo dappertutto»

Cosa cambierà?
«Un certo tipo di essere umano non cambierà. Altri invece potranno fare tesoro di questa tremenda esperienza. Ho visto generosità e solidarietà, l’aria tornare pulita, i delfini riavvicinarsi al posto, il Po cambiare da grigio ad azzurro. Tutto questo me lo voglio attaccare sugli occhi».
 
 

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