Con la voglia di redenzione delle sue canzoni più famose, Zucchero a Roma si regala per cinque sere la magica cornice di Caracalla. Un viaggio tra paradiso e inferno, tra opera e blues in cui trova la voce e il sorriso di Luciano Pavarotti, in video nell'immancabile «Miserere», ma anche la complicità di una band di dieci elementi con l'ex chitarrista di Prince, Kat Dyson, l'organista Peter Vettese e la batterista Monica Mz Carter (scovata su YouTube) sugli scudi, e la voce potente, carismatica, della vocalist camerunense Oma Jali. La carovana del «World wild tour» che terrà il soulman di Roncocesi sulla strada fino ad agosto con doppia tappa il 24 e 25 luglio nel cortile della reggia di Caserta nell'ambito del festival «Un'estate da re».
Siamo ormai a metà anno, signor Fornaciari. Come butta?
«Ho iniziato l'anno andando al funerale di Jeff Beck, perdita durissima da accettare: fino a due settimane prima stava benone, c'era l'idea di fare cose assieme. Che di questi tempi si possa ancora morire per meningite ha dell'incredibile».
A Tina Turner dedica un tributo nello show. Niente di buono da segnalare?
«I tour in Scandinavia con special guest di Andrea Bocelli, in Nuova Zelanda e Australia, con amici come Tina Arena o Jimmy Barnes sul palco, negli Stati Uniti, ospite ancora di Bocelli, dove ho potuto cantare accompagnato da una grande orchestra. Vado in tour in tutto il mondo, ma sono senza contratto discografico: è scaduto, come lo yoghurt. Spero di non faticare a trovarne una, anche se pare sia dura trovarla persino per Santana!».
Le sue scalette continuano ad alternare demonio e santità. O quantomeno pezzi celestiali ed altri più terrestri...
«Qualcuno mi rinfaccia il passaggio dal sublime all'osteria. Non piace la convivenza tra “Un soffio caldo”, “Diamante” e “Dune mosse” con titoli come “Vedo nero” e “Bacco perbacco”. Ma io mi attengo alla tradizione del blues, che si muove tra alto e basso senza problemi. Al polically correct non va bene? Non me ne frega un ca**o».
Però «L'urlo» urla meno di prima, ha rimosso dal testo l'espressione più forte.
«Non mi ci ritrovavo più. La usa pure Fabrizio De André, che amo, in “Un giudice”. Ma a lui nessuno eccepisce niente».
Finora abbiamo parlato di Adelmo Fornaciari. Ma il resto del mondo?
«Come disse Churchill a Londra sotto le bombe: fuori è tutto così terribilmente noioso. Ovvio che speri sempre in un raggio di luce, ma le forze oscure che agitano guerre, conflitti o disastri come quello della Romagna non lo lasciano filtrare. Speriamo arrivi presto la primavera».
A Caracalla ha dedicato un pensiero alle vittime dell'alluvione.
«“Let it shine” l'avevo scritta nel 2006 col pensiero alle vittime dell'uragano Katrina: mi è bastato, purtroppo, cambiare poche parole. “Ho visto il Mississippi, come un mare, andare all'inferno” è diventato “Ho visto la mia terra...”».
Il 24 giugno parteciperà al concertone solidale «Italia loves Romagna».
«Visti gli impegni in agenda è un incastro complicato, ma come facevo a non esserci? La sera prima dello show di Reggio Emilia, suonerò a Sofia e quella dopo a Bucarest, ma accetto il tour de force supervolentieri».
All'Rcf Arena per l'occasione verrà utilizzato lo stesso palco su cui già sale il 9 e 10 giugno per «Diavolo in R.E.», lo show del suo ritorno a casa.
«Con più di 300 brani in repertorio posso cambiare scaletta tutte le sere e a Campovolo vorrei puntare, oltre ai successi irrinunciabili, su quelli che parlano di amore e radici. Pezzi come “Terra incognita”, minori non per qualità, ma solo perché non sono diventati dei singoli».
Ospiti?
«Vorrei che rimanesse un concerto mio tra la mia gente. Però il 9 giugno ho invitato Salmo, perché l'ho visto a San Siro l'anno scorso e mi è sembrato molto bravo. E poi mi è piaciuta la versione di “Diavolo in me” fatta con Shari a Sanremo. Incidere un brano assieme? Al momento è prematuro parlarne».
Ma chi è oggi Zucchero?
«Questo nome d'arte mi ha stancato, ho 67 anni. Comincia a imbarazzarmi un po': mi sembra una roba da ragazzini. Vorrei ormai farmi chiamare con il mio vero nome, Adelmo».
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