Ecco il secondo album da solista di Zulù: «Ritorno al reggae pensando a Lennon»

Ecco il secondo album da solista di Zulù: «Ritorno al reggae pensando a Lennon»
di Federico Vacalebre
Venerdì 25 Gennaio 2019, 12:00
3 Minuti di Lettura
Sedicesimo album, e secondo da solista, per Zulù: «Bassi per le masse» esce oggi, accompagnato dal videoclip di «Parole armate», che è il prequel del precedente, «Traffico», e sarà seguito, dopo Sanremo, dall'uscita contemporanea di altri dodici pezzi, a completare la scaletta dell'album, insieme militante e danzereccio, come sempre, più di sempre.

Quattordici video, Zulù?
«Sì, credo che pubblicarne 12 nello stesso giorno non l'abbia fatto nessuno. I primi due, nella storia come nell'immagine, sono riferimenti/citazioni a Pulp fiction di Tarantino. Gli altri li abbiamo ripresi dal vivo, tutti nella stessa giornata, al Tilt di Avellino».

Anche il brano che dà il titolo al disco è un riferimento/citazione.
«E un omaggio a John Lennon: lui è stato il primo ad avvicinarmi a canzoni che volessero dire qualcosa, che avessero qualcosa da dire. Mi è piaciuto, anche per questo, giocare con i concetti di Power to the people e Give peace a chance in Basses for the masses».

Potere al basso, e dal basso.
«Già, il basso è lo strumento in cui mi rifugio quando ho bisogno di ballare, sballare, trovare l'idea di partenza per un pezzo. Musica dal basso per le masse, l'italiano ci permette di giocare con le parole, questo ancora non lo hanno reso fuorilegge».
 
Un disco reggae, innanzitutto. Reggae roots, elettronico, conscious, dub, riddim, da dancefloor, ma comunque reggae.
«Sì, da li sono partito, da lì sono partiti i 99 Posse, anche se poi, per comodità, mi hanno spesso chiamato rapper».

E dire che l'hip hop è figlio dell'arte del toasting giamaicana.
«Sì, tra tanti anglismi ancora non abbiamo imparato a dire toaster: erano i primi dj che scandivano parole a ritmo su basi reggae. Sia chiaro, a me il rap piace, ma mi ha procurato molti hater».

In che senso?
«Alcuni puristi non accettano che io venga confuso con i loro paladini del flow».

Il tuo flow, intanto, si fa più amaro, ironico, introspettivo.
«Inseguivamo una rivoluzione, sognavamo un altro mondo possibile, ancora non siamo riusciti non dico a fare la rivoluzione o edificarlo quell'altro mondo possibile, ma nemmeno a convincerci di aver capito quale rivoluzione fare, quale è il migliore dei mondi possibili da inseguire. Ma, occhio, che persino la mia storia dimostra che non tutto è perduto: per trent'anni ho dimostrato che si può fare musica in un altro modo possibile, dal basso, con i bassi per le masse».

Gli ospiti sono tanti.
«C'è Bunna, degli Africa Unite, che amavo quando ancora non facevo musica: li scoprii in tv tornando dal liceo, ospiti di Arbore a Doc. Ci sono Valerio Jovine, Krikka Reggae, Fukada Tree, Shanti Power, Andy Mittoo, Andrea Tartaglia, Dj Uncino».

Mancano i 99 Posse.
«Eravamo tutti impegnati nei nostri progetti solisti. Appena finito questo giro ci rimettiamo a fare la posse».

«Zero padan» è una rilettura antisalviniana di «Cuore nero», antico inno antirazzista inciso con Franco Ricciardi: stavolta ci danno dentro anche Granatino e Fido Guido.
«L'invasione nera che i neorazzisti temevano già 25 anni non c'è stata. Ma qualcuno ancora ci invade con la paura dell'invasione che non c'è stata e non ci sarà».
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