L'Ariston non è più vuoto, le poltroncine rosse sono state riempite da palloncini colorati sui cui sono stati disegnati dei volti. Fiore Lauro, organismo scenicamente mutato, entra in sala vestito di nero, con le immancabili piume, raggiunge Amadeus sul palco, riprende a sfottere Zingaretti per la liason con Barbara D'Urso, poi chiede una campagna di vaccinazione imponente.
Tra i giovani passano il turno Davide Shorty e Wrongonyou, subito eliminata la migliore degli otto, la napoletana Greta Zuccoli, delicata e intimista con «Ogni cosa ho di te», che sarebbe piaciuta a una Elizabet Fraser.
Poi la serata vira sull'amarcord, o comunque aggiunge alla ricetta giovanilista dei big suoni più adatti al pubblico più adulto, generalista: apre la gara dei big la diversamente giovane Orietta Berti, 77 anni di rustica energia e melodica vocalità e poi, a darle man forte, arrivano Il Volo per un omaggio a Ennio Morricone diretto dal figlio Andrea diviso con la tromba di Nello Salza; il trio retromodernista composto da Fausto Leali (76 anni), Gigliola Cinquetti (73) e Marcella Bella (68), pronti a rincantare antichi successi come «Mi manchi», «Ti amo», «Non ho l'età», «Dio come ti amo», «Senza un briciolo di testa» e «Montagne verdi».
In un Sanremo normale - ammesso che mai Sanremo sia stato normale - con questi numeri sarebbe venuto giù il teatro, ma in questo Sanremo pandemico e tamponato le standing ovation sono impossibili (ve li vedete i palloncini a urlare «bis bis bis»?), un applausino (registrato) di cortesia saluta anzianotti e giovanotti. Persino la celebrazione di Laura Pausini che ha appena vinto il Golden Globe per «Io si (Seen)» passa senza essere sottolineata, se non da una gag con i due eroici mattatori. Fatto? Già fatto!
Gli Amarello sono ammirevoli per l'impegno proposto, Fiore riempie lo show in ogni modo, in ogni luogo, in ogni lago, ah no, quello era Valerio Scanu, e forse oggi ci manca persino lui, non per il tormentino scemo del 2010, ma perché sembra svanita anche nel telespettatore la voglia di mettere alla berlina un tormentino scemo, piegato dalla clausura impostaci dal Covid-19. Fiore lo sa, Ama lo sa e allora si autosfottono, giocano come dei mattacchioni mandati sul fronte del palco, vivono le contraddizioni di un Festival giovane (nelle canzoni, nel pubblico, sia pur meno corposo del solito, ma non certo nel verdetto della giuria demoscopica), si confessano i nomignoli con cui li chiamano le mogli («Amorino» il primo, il secondo «Patato»), cantano e ballano tra ballerine sculettanti, accettano la missione impossibile di fare varietà senza pubblico, palloncini a parte. Ridono, sembra di gusto, e in qualche modo ci spingono a rilassarci, a far finta di essere sani, a vivere questo Sanremo come facevamo «prima», qualcuno tifando, qualcun altro sparlandone, senza gruppi d'ascolto, però, tranne quelli che si sono organizzati tra piattaforme e chat, ma non è la stessa cosa, non ci sono le pizze fritte, le birre, «e ognuno vive dentro ai suoi egoismi vestiti di sofismi» (Guccini dixit).
Elodie è un'emozione (poco) vestita di rosso o d'oro, sgambatissima, disinvolta, showgirl completa, tosta, tenera, simpatica, spontanea, credibile ed emozionata quando parla della sua infanzia di periferia. Gigi D'Alessio porta all'Ariston il sound e il dialetto dei «Guagliune» newpolitani: Enzo Dong, Ivan Granatino, Lele Blade e Samurai Jay. Achille Lauro guarda alla Mina con coda della copertina di «Rane supreme» ballando un tarantiniano «Bam ban twist» con Claudio Santamaria e Francesca Barra. E ormai non fa scandalo, forse nemmeno colpo, nonostante lo slogan «Godere è un obbligo, Dio benedica chi gode». La gara dei big vive senza troppi sussulti, ma gli Extraliscio (con Davide Toffolo e «Bianca luce nera») innervano di rumore e adrenalina una melodia da balera e sono i migliori della manche con il jannacciano Willie Peyote di «Mai dire mai (la locura)». Bene fanno Gaia, Lo Stato Sociale («Combat pop», e i Clash entrano all'Ariston, sia pure come citazione!), La Rappresentante di Lista, Malika Ayane, Fulminacci, ma naturalmente il verdetto della giuria demoscopica scompagina il lavoro di rinnovamento di Ama mandando in testa un quartetto formato da Ermal Meta, Annalisa, Irama (nonostante tutto) e Malika Ayane.