«Canto a Sanremo
la Napoli mai svelata»

«Canto a Sanremo la Napoli mai svelata»
di Enzo Avitabile
Martedì 6 Febbraio 2018, 08:38
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E finalmente stasera canterò con Peppe Servillo «Il coraggio di ogni giorno», provando ad accendere i riflettori dell’Ariston, potentissimi, su terre dimenticare, dove, ogni giorno, serve il doppio del coraggio anche per fare la cosa più semplice: andare a scuola, trovare un lavoro, fondare una posse rap, mangiarsi un panino con gli amici, sorridere, innamorarsi. Qualcuno le chiama periferie, per me sono la città non frontale, forse dovremmo iniziare a ridefinire la geografia, anche sentimentale, della nostra Napoli. 
«Scrivo la mia vita, tracce sulle pietre, ed ho gli stessi occhi di Scampia»: il pezzo inizia così ed i miei sono davvero gli occhi di Scampia, che un tempo era la campagna di Marianella, dove sono nato io, e di Piscinola; apparteneva quasi tutta alla famiglia di Alfonso Maria de’ Liguori, il santo che scrisse «Tu scendi dalle stelle», anzi «Quanno nascette Ninno a Betlemme». 
Ecco, allora la storia di Avitabile è simile a quella del Celentano della via Gluck, un giorno alberi di cemento hanno preso il posto delle campagne in cui avevamo giocato a pallone da bambini, lì dove c’era l’erba ora c’è la città frontale, che fa notizia per gli spacciatori alle Vele, per un set televisivo, per una baby gang, non per il santo teologo e cantatore. Ma Scampia non è Gomorra, anche se Gomorra assomiglia a Scampia, quante brave persone, quante associazioni, quanti padri di famiglia che cercano solamente di arrivare a fine mese, quante madri in ansia ogni giorno per i figli... 

 

Con gli occhi di Scampia e su Scampia - e delle mille Scampie di Napoli, della Campania, del Mezzogiorno, d’Italia, del mondo - ho scritto questo pezzo che vuole essere un inno di speranza con le radici nel cemento, che ha il suono di una lauda mediterranea, che parla di quella Napoli che è città mai svelata, mai capita, mai vissuta dall’altra Napoli. Con Servillo ci guardiamo in faccia quando il testo si concede due parole in dialetto, «lauda lu mare e tiene ‘a terra/ luce fa juorno ‘e sera»: sarà poco, ma è quella luce che vorremmo si accendesse a Sanremo e da Sanremo: senza slogan, senza denunce, con la consapevolezza di quanto duro lavoro ci aspetti, di quanto poco Peppe ed io possiamo fare, ma anche di come ci piace mettere la nostra esperienza di musicanti, di gente del palcoscenico, al servizio delle città frontali, dei lotti infiniti a cui ho intitolato il mio ultimo album, delle campagne dove sono spuntati i grattacieli, le Vele, i casermoni, le palazzine... 
Non c’è vittimismo, c’è il coraggio di ogni giorno, e poi di ogni notte, perché la nuttata ha da passare, perché Napule è anche questo.
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