«Sono forse l'unico che va a Sanremo direttamente da superospite senza aver prima messo piede al Festival in altre vesti», sorride Cesare Cremonini. Sembra incredibile, perché in fondo per quel crocevia quasi obbligato per le star della musica italiana ci sono passati tutti, e quelli che non ci sono mai stati si contano sulle dita di una mano (Guccini, De Gregori, per dirne due), eppure è così: il cantautore bolognese ci ha messo vent'anni per trovare l'occasione giusta per esordire sul palco dell'Ariston, a 41 anni. Amadeus lo è andato a trovare a Bologna. Lui, che il 25 febbraio tornerà sulle scene con un album, «La ragazza del futuro», ambizioso e coraggioso, «scritto senza seguire l'abc della musica pop» (e in estate suonerà negli stadi), gli ha detto sì.
Possibile che non abbia nemmeno una volta sfiorato quel palco?
«L'ho sfiorato. È successo ai tempi dei Lunapop, dopo il boom di 50 Special.
Quando scrisse «50 Special» aveva 17 anni: ci si riconosce ancora?
«Sì. Non sono pronto a cantarla seduto su uno sgabello con le stampelle. Cosa la distingue da altre canzoni che hanno avuto successo tra i giovani? Non è una canzone giovanilistica, ma giovane, genuina. Fa la differenza, nella longevità di un brano».
Oggi potrebbe riscriverla?
«In questa fase non credo. In un momento in cui la mia generazione, per un fatto anagrafico, non può ambire a fare i numeri che fa sullo streaming chi ha un pubblico di adolescenti, io mi sono detto di dare una ragione a quello che faccio. La frammentazione del pubblico in follower fa diventare il cantante una specie di jukebox a imbuto. Sarà pure lo spirito dei tempi, ma a me questa cosa va stretta. La musica pop italiana di oggi ricerca empatia attraverso l'autoreferenzialità: c'è sempre un io che parla. Io con La ragazza del futuro volevo provare a ritornare a un racconto collettivo, guardando agli anni '70».
m.m.