Colapesce e Dimartino a Sanremo 2023: «Non si vive di sola musica leggerissima»

«Ci piacciono le cose che possono avere due letture, anche Musica leggerissima era molto meno leggera di quello che poteva apparire»

Colapesce e Dimartino
Colapesce e Dimartino
di Federico Vacalebre
Lunedì 23 Gennaio 2023, 11:00
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Un tuffo dove il mare è più blu, anzi dove la psiche è più oscura. Una canzone in cui il suono di un Lucio Battisti (incidono pure per la Numero Uno!) o di un Enzo Carella guarda alla lezione di maestro Modugno. Un testo che occulta, capovolgendoli, i versi del sommo Dino Campana. È «Splash», il brano che Colapesce e Dimartino portano al prossimo Sanremo, confermandosi coppia sorprendente quanto ispirata.

Nel 2021 all'Ariston vi era andata benissimo, quarti in classifica finale e secondi ai soli Maneskin poi nelle classifiche dei brani festivalieri più ascoltati nell'anno. Avete deciso di tornare, ma voltando le spalle a quel motivetto che è piaciuto tanto, al tormentone bis.
Colapesce, all'anagrafe Lorenzo Urciullo, di Solarino (Siracusa), 33 anni: «Ci piacciono le cose che possono avere due letture, anche Musica leggerissima era molto meno leggera di quello che poteva apparire.

E, sì, per tornare abbiamo scelto un brano meno immediato, la cui musicalità e i cui versi ambissero ad un ascolto più attento, sognando di risvegliare la canzone d'autore, diventata autoreferenziale, lasciando al rap il compito di essere orologio dei tempi».

Siete passati da una finta semplicità ad una maggiore complessità, comprese citazioni: «Preferisco il rumore delle metro affollate a quello del mare» sembra capovolgere il Campana di «Lavorare lavorare lavorare preferisco il rumore del mare».
Dimartino, all'anagrafe Antonio, palermitano, 40 anni: «Abbiamo lavorato ad un canzone che evocasse sentimenti e storie più universali di quelli che oggi vengono costretti nelle playlist. Campi sconfinati, il vento che arpeggia una ringhiera, il lavoro come rifugio...».

E c'è quel verso «ma io lavoro per non stare con te» che dice dei nostri amori tossici, del nostro perenne boicottaggio al sapere/sapersi voler bene.
Colapesce: «Viviamo a Milano, dove il peso delle aspettative, dove l'ansia da prestazione regna sovrana, anche nel campo dei sentimenti. Così arriva quel meglio soli su una nave/ per non sentire il peso delle aspettative».

Alla fine del brano, dopo il primo ascolto serio candidato al premio della critica intitolato a Mia Martini, c'è un tuffo «nell'immensità del blu», con tanto di onomatopeico «Splash». Un salto nel mare, la fine di un amore o di una vita, spesa «come stronzi a galleggiare»? Di nuovo un richiamo al Mimmo nazionale, questa volta quello di «Vecchio frack»?
Dimartino: «Lasciamo aperta la doppia lettura anche qui, il finale è aperto, il protagonista fugge da una passione o si suicida, chissà. Modugno? Certo, e sempre, magari anche quello luddista di Un calcio alla città».

Che Sanremo vi aspettate? Che Sanremo vorreste?
Colapesce e Dimartino, all'unisono: «Divertente, senza pensare alla gara, godendoci l'orchestra e il pubblico».

Anche perché subito dopo vi aspetta una nuova avventura, cinematografica, questa volta.
Colapesce: «Sì, il 20 febbraio, archiviato, si fa per dire, il Festival, uscirà, come evento nelle sale, La primavera della mia vita. È il nostro primo film, abbiamo scritto il soggetto, la sceneggiatura, la colonna sonora, Splash compresa, e siamo anche i protagonisti: è un road movie ambientato in Sicilia, la storia di due amici che, per motivi che non sveliamo ancora, si ritrovano dopo tanto tempo».

Un lavoro autobiografico?
Dimartino: «Sì e no, abbiamo preso gli aspetti peggiori delle nostre personalità, li abbiamo saturati, portati alle estreme conseguenze, poi ci siamo... confusi tra di noi. I personaggi si chiamano Antonio e Lorenzo, ma il futuro che devono costruire non sarà musicale come il loro passato».

Il tono?
Colapesce: «Una sorta di favola tra commedia e dramma, anzi un po' commedia e un po' dramma. Ci sono personaggi fiabeschi, ospiti del nostro mondo, personaggi eccentrici, teorie del complotto».

Il debuttante Zavvo Nicolosi vi ha diretti mostrando, si dice, una Sicilia inattesa.
Dimartino: «Si, diversa da quella straraccontata, nel bene e nel male, da tanti libri e film. È diversa anche da quella che nasconde per trent'anni Matteo Messina Denaro: quella, più che una storia siciliana, è una storia italiana: viene in mente Povera patria di Battiato».

Parlavamo della Sicilia: con «Cose da pazzi» avete contribuito alla colonna sonora della «The bad guy». Meglio l'isola mostrata nella vicenda del pubblico ministero antimafia accusato di essere a sua volta mafioso o quella postfolkloristica di «The white lotus»?
Dimartino: «Scegliamo The bad guy e non per il nostro minimo contributo, ma perché stravolge gli schemi del racconto, usando, tra l'altro, l'ironia». 

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